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September 06 2017
La violenza dell'esercito birmano che da tempo brucia villaggi, uccide e costringe alla fuga i Rohingya, la minoranza musulmana che vive nell'area occidentale del Rakhine, si è trasformata in una vera e propria crisi umanitaria.
Crisi che dura da anni, ripresa con maggior ferocia il 25 agosto quando miliziani rohingya hanno attaccato delle postazioni della polizia, scatenando una controffensiva militare che ha provocato una fuga di massa verso il Bangladesh.
Crisi che ha portato allo scontro anche due donne, due perseguitate, due premi Nobel per la Pace. L’attivista pakistana e musulmana, Malala Yousafzai e la sua “collega” birmana Aung San Suu Kyi, che di fatto guida il Myanmar e che per questo è accusata di ignorare la pulizia etnica in atto nel suo Paese.
Per San Suu Kyi non è il primo attacco diretto, anche il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, aveva ammonito le persecuzioni e il silenzio della leader birmana. Ma di sicuro l’intervento della 20enne pachistana ha avuto un impatto mediatico più imponente. "Ogni volta che leggo le notizie il mio cuore si spezza per le sofferenze dei musulmani Rohingya in Myanmar", così è iniziato l'atto di accusa pubblico di Malala, sopravvissuta miracolosamente a un tentativo di assassinio da parte dei talebani locali in Pakistan a soli 15 anni, nel 2012, perché lottava per dell'educazione femminile.
"Sto aspettando che anche San Suu Kyi condanni il tragico e vergognoso trattamento dei Rhoingya", la minoranza etnica musulmana in fuga da ultime settimane dalle operazioni di “pulizia etnica” ha twittato colei che ha conquistato il Nobel nel 2014. "Il mondo sta aspettando, i Rhoingya stanno aspettando", ha proseguito la giovane con un'implicita accusa nei confronti della San Suu Kyi.
E ancora: "Fermate le violenze. Oggi abbiamo visto immagini di bambini uccisi dalle forze di sicurezza della Birmania. Questi bambini non hanno fatto del male a nessuno, eppure le loro case vengono bruciate e distrutte. Se la loro casa non è in Birmania, in cui i Rhoingya hanno vissuto per generazioni, dov'è? I Rhoingya dovrebbero ottenere la cittadinanza birmana, il paese in cui sono nati".
La premio Nobel per la Pace Malala accusa la "collega" di Nobel San Suu Kyi di ignorare la pulizia etnica in atto nel Myanmar (Dan Kitwood/Getty Images)
E la risposta di Suu Kyi alle aspre critiche sulla violazione dei diritti umani nel suo Paese non si è fatta attendere, anche se in modo indiretto: "È solo disinformazione", ha detto parlando al telefono con presidente turco Recep Tayyip Erdogan, almeno secondo quanto ha reso noto l'ufficio della premio Nobel 1991.
Il Governo "ha già iniziato a difendere tutti i residenti dello stato di Rakhine nel miglior modo possibile. Sappiamo molto bene, meglio della maggior parte delle persone, ciò che significa essere privati del rispetto dei diritti umani e della protezione garantita dalla democrazia", ha proseguito Suu Kyi rispondendo anche a Malala e al mondo che le chiedevano di interrompere il silenzio sul bagno di sangue che è costato la vita finora a 400 persone e ne ha messe in fuga 125 mila. Questo è "solo la cima di un enorme iceberg di disinformazione calcolato per creare molti problemi tra diverse comunità allo scopo di promuovere l'interesse dei terroristi".
Un esodo che ha portato ad esporsi anche le Nazioni Unite: "Si deve cambiare linea politica e riconoscere nazionalità e status sociale ai Rohingya musulmani, in modo che possano ottenere una vita normale, trovare lavoro e accedere all'istruzione", ha detto Antonio Guterres, il segretario generale Onu.
Anche i cittadini del maggior Paese musulmano al mondo, l’Indonesia, hanno protestato all’esterno dell’ambasciata del Myanmar a Giacarta chiedendo al Comitato per il Nobel di togliere a Aung San Suu Kyi il riconoscimento. Nel 2016 un gruppo di Nobelaveva chiesto alla leader birmana coerenza con il ruolo e il premio rivolgendosi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per la grave pulizia etnica e crimini contro l’umanità perpetrati contro i Rhoingya.
Contestualmente alla critica di Malala anche l'Europa ha chiesto un "accesso umanitario illimitato" per raggiungere i 350 mila Rohingya "vulnerabili" in un territorio off limits per organizzazioni internazionali e giornalisti. In contemporanea l'Ue ha lanciato un appello "a tutte le parti per allentare le tensioni, perché rispettino pienamente le leggi umanitarie internazionali e, in particolare, si astengano da ogni violenza sui civili", mentre il Commissario per gli Aiuti Umanitari Christos Stylianides ha espresso "grande apprezzamento" per l'ospitalità del Bangladesh.