Sanità in Sicilia, viaggio inchiesta tra emergenze e politica - seconda puntata
Dall’automedica del 118 di Palermo, che corre a sirene spiegate verso l’ennesimo soccorso della mattina, il chiasso della politica, delle "spartizioni" e delle nomine è solo un rumore di fondo, lontano. Qui si fa sul serio. Qui c’è in gioco la vita.Il team di rianimatori, alle 12 del mattino ha appena concluso una missione, nel vero senso della parola: un sessantenne in arresto cardiaco, crollato mentre faceva le pulizie in un condominio del centro. Massaggio cardiaco: il cuore ricomincia a battere, il paziente viene caricato in ambulanza e corre verso uno dei sei Pronto Soccorso del capoluogo siciliano. Sono gli ultimi giorni di un settembre di fuoco, in tutti i sensi. E’ stato il mese dei lunghi coltelli, dei veleni, dei malcontenti e delle prove di forza: il mese in cui occorreva nominare i direttori sanitari e amministrativi degli ospedali e il mese in cui il presidente della Regione, Renato Schifani, ha dato ai direttori generali delle varie aziende ospedaliere l’ultimatum: o riuscite a tagliare le lunghissime liste d’attesa per visite ed esami, o vi dimettete assieme ai vostri manager. Doveva essere un modo -secondo il Governatore- per “chiamare” alla meritocrazia, per costringere i direttori generali a nominare i migliori tra i migliori, anche solo con lo scopo di mantenere il proprio posto: ma quello che è apparso ai più, è che le nomine siano state squisitamente politiche, con un gioco delle parti che ha quasi fatto saltare il banco all’interno della compagine della destra siciliana, rischiando anche di dar vita a un rimpasto di assessori e dirigenti (con Giovanna Volo, assessore alla Salute in testa) che avrebbe potuto anche avere un effetto-domino sulla maggioranza di Governo regionale.
Sanità a Palermo: situazione borderline
Fatto sta che queste grandi manovre di Palazzo, questi stravolgimenti della mappa del potere sanitario siciliano si sono presi tutta la scena e l’attenzione dei media, a discapito di ciò che succede all’interno degli ospedali: e quello che succede negli ospedali è, spesso, il delirio.
I Pronto Soccorso, a Palermo, scoppiano di malati: alle ore 13 di un qualunque martedì di settembre, gli indici di sovraffollamento (cioè il rapporto tra il numero effettivo di pazienti in pronto soccorso e quello massimo possibile, fissato dalla direzione aziendale) di tutti i reparti di emergenza/urgenza del capoluogo variano da un massimo del 246% a un minimo del 133%.
Dire “scoppiano”, è anche riduttivo, perché dietro questi tecnicismi si nasconde il disastro perfetto. Al Pronto Soccorso dell’ospedale “Vincenzo Cervello”, edificato nel 1909 e chiamato così in onore di un celebre farmacologo palermitano, arrivano in contemporanea due codici rossi, e 4 gialli risultano ancora in fila per essere visitati. Maria C., in attesa da 3 ore per una forte emicrania classificata come codice verde, piange in un angolo della sala d’attesa.Oggi il nosocomio -che assieme al Villa Sofia, con il quale è accorpato negli “Ospedali Riuniti”- conta circa 650 posti letto, appare fatiscente nella sua decadenza tutta siciliana. L’ingresso delle ambulanze è semi-occupato da moto posteggiate abusivamente: per accedere al Triage occorre fare lo slalom tra mezzi, pazienti sofferenti, parenti imbufaliti, vigilantes un po’ troppo zelanti. Ma certo, sei piani più in alto, la vista dai reparti di degenza sul Monte Pellegrino che Goethe definì “il più bel promontorio del mondo”, è magnifica. Peccato che sia il piano dove -a seguire le indicazioni- dovrebbero esserci l’Hospice e il servizio di Senologia, ma appare più come un cantiere abbandonato o un deposito di materiali di risulta: le barelle passano tra pallet rotti, scatoloni di piastrelle, mattoni, cavi scoperti incustoditi e tetti letteralmente scoperchiati. Il degrado, in faccia a tutti: non c'è nessun cartello che inibisca l'accesso, chi cerca come noi un reparto si trova, in pratica, in una specie di sottosopra.
Policlinico: il Pronto Soccorso è nuovo di zecca.
Nella città di Palermo, sono attivi 6 Pronto Soccorso. Il più nuovo è quello del Policlinico “Paolo Giaccone”, che nel febbraio del 2023 è stato inaugurato dopo una ristrutturazione costata più di 6 milioni di euro. Nel comunicato della Regione si parla di una struttura all’avanguardia, con 3 sale per i codici verdi, 2 per i rossi, un’area di osservazione breve intensiva con 10 postazioni ad alta tecnologia di monitoraggio e supporto emodinamico e respiratorio. In più, 24 posti letto di terapia intensiva polivalente, postoperatoria e neurorianimazione ad alta tecnologia e informatizzazione, 4 nuove sale operatorie, 26 nuovi posti di degenza chirurgica ad alta complessità. Detto così, una meraviglia. Soprattutto pensando al fatto che questo gioiellino di Pronto Soccorso ha alle spalle un grande Ospedale con circa 530 posti letto, e quindi non dovrebbe avere problemi a far assorbire ogni giorno il flusso di pazienti da ricoverare. Però il diavolo si nasconde nei dettagli, e il dettaglio è che sempre nello stesso martedì qualunque di questo settembre appena passato, ci sono 5 ambulanze (con i pazienti a bordo) in fila all’ingresso del nuovo Pronto Soccorso. Questo vuol dire che il triage non riesce ad assorbire il flusso degli arrivi, i medici non riescono a prendere in cura nuovi pazienti, e vuol dire anche che dentro sono finite pure le barelle: le ambulanze quindi non riescono a sbarellare -cioè a lasciare i malati in carico al PS- e pertanto non possono ripartire per andare a fare altri soccorsi. Magari urgenti. Il disastro perfetto, a cascata. In più, c’è una sbarra che chiude l’ingresso alla rampa del Pronto Soccorso: le ambulanze sono tutte in fila, in strada, dietro questo ostacolo. Ma se arriva una macchina con un paziente a bordo che ha urgente bisogno di aiuto? Esce qualcuno dal Pronto Soccorso e decide se può passare? Non si vede un citofono. Al triage si rifiutano di rispondere ai giornalisti: “Hanno deciso così da quando hanno inaugurato, noi stiamo qui ad aspettare con i pazienti a bordo finché non ci fanno passare”, apre le braccia sconsolato un autista del 118, l’unico che abbia un po’ di voglia di parlare. E poi, sempre il dettaglio: sono stati spesi sei milioni, e nessuno ha pensato alla necessità di realizzare una sala d’attesa per chi accompagna i propri parenti, per chi li aspetta o aspetta notizie: tutti sono costretti ad aspettare fuori, sui gradini, sotto il caldo torrido, o sotto la pioggia, o al freddo.
L’emergenza che funziona, a pochi metri di distanza.
Ma la Sicilia è così: terra di contraddizioni e di estremi, terra di buio pesto e luce abbacinante. Mentre le ambulanze davanti al Policlinico Giaccone sono in fila con i pazienti, a soli 800 metri di distanza nella Shock Room di un altro Pronto Soccorso, quello dell'ARNAS Civico (il più grande a sud di Napoli con quasi 75.000 accessi all’anno) si sta tentando un’impresa quasi disperata. E’ appena arrivata una donna di 47 anni, in arresto cardiaco dopo un infarto gravissimo, massivo. Il personale si attiva immediatamente, praticando quello che in termini tecnici si chiama protocollo di rianimazione ACLS (Advanced Cardiovascular Life Support): massaggio cardiaco, defibrillazione, adrenalina, intubazione, trombolisi, manovre invasive come l’inserimento di un contro-pulsatore aortico (una sorta di palloncino che viene introdotto nell’aorta dall’inguine, per aiutare il cuore ed evitare che non giunga abbastanza ossigeno al cervello) fino ad arrivare al posizionamento dell’ECMO. Manovra, quest’ultima, che solo in casi rarissimi (mai accaduto prima a Palermo) si è in grado di eseguire in un Pronto Soccorso, e che consiste nel collegare il paziente a un meccanismo di circolazione extracorporea a membrana, per garantire l’ossigenazione degli organi. Due ore di lavoro in Shock Room, con uno spiegamento di forze enorme: due medici del Pronto Soccorso, un cardiologo, un rianimatore dell’Ospedale Civico, un rianimatore dell'ISMETT (centro di eccellenza sui trapianti che ha sede nello stesso comprensorio), 4 infermieri e 3 operatori sanitari del Pronto Soccorso: oltre all’utilizzo di tutti i macchinari di ultima generazione a disposizione di questi centri. La paziente ora è viva, ricoverata in rianimazione. Tutto mentre, nel frattempo, il resto del personale va avanti a “smaltire” la lista d’attesa di pazienti con le necessità più svariate, da colui che utilizza il PS come un bancomat della salute, a quello che teme di avere "un principio di infarto", a quelli che si lamentano per l'attesa di una radiografia per un banale trauma o intendono fare una tac saltando la lista d’attesa, oppure gridano per la (secondo loro) eccessiva attesa per un referto medico o per una certificazione di infortunio, o ancora per qualsiasi altra cosa.
E nel frattempo, c’è il boarding, il problema dei problemi di tutti i reparti di emergenza/urgenza: rappresentato da tutti quei pazienti che non possono essere ricoverati per mancanza di posti letto in reparto e che stazionano per giorni e giorni (fino anche a una settimana) nelle sale del Pronto Soccorso. Con i disagi che si possono facilmente immaginare e con un enorme carico di lavoro di assistenza per i medici dell’emergenza, che però dovrebbero fare altro. Occuparsi di urgenze, appunto.
Un’estate complessa per il 118
Anche nella centrale operativa del 118 di Palermo, con sede sempre all’ARNAS Civico e che gestisce anche la provincia di Trapani, le isole Egadi, Lampedusa e Pantelleria, l’estate appena trascorsa è stata decisamente complicata. Il direttore della centrale, il medico rianimatore Fabio Genco -che in luglio ha affrontato assieme alla sua squadra anche l’emergenza Bayesian coordinando i soccorsi di tutti i naufraghi del veliero di lusso affondato nel mare palermitano il giorno 19 agosto- elenca i problemi: “Il sistema dell’emergenza è sempre sul filo del rasoio, ed è bene dire che non esistono soluzioni immediate. Per far fronte ai periodi di picco di chiamate dei soccorsi, dovute all’eccessivo caldo estivo, o alle epidemie di influenza invernale, ai virus respiratori, alle recrudescenze del Covid, e ovviamente a tutte le emergenze come incidenti stradali e altro, occorrono sicuramente un maggior numero di ambulanze, con medici a bordo. Oltre a una migliore organizzazione della capacità dei reparti ospedalieri, per far sì che possano assorbire le richieste di ricovero dal Pronto Soccorso”. La capacità dei reparti ospedalieri, eccola di nuovo: senza una seria politica di rimodulazione dei posti letto e senza ampliamento dei reparti (soprattutto di area medica, medicina interna in primis) i problemi non si risolvono
La commissione primari risolverà i problemi?
A seguito dei tanti casi di presunta malasanità che si sono verificati, nei Pronto soccorso siciliani, durante l’estate appena trascorsa (tra i quali il celeberrimo caso della gamba bloccata con il cartone all’ospedale di Patti, in provincia di Messina), il governatore Schifani ha deciso di istituire una apposita commissione tecnica che sta verificando lo stato di tutti e 61 i PS siciliani. Si tratta di quindici tecnici, scelti tra direttori di Unità Operativa Complessa di emergenza-urgenza, direttori sanitari, infermieri e funzionari regionali, che dopo aver già inviato una survey conoscitiva con più di 100 domande a tutti gli ospedali, inizieranno a breve a visitare tutti i presidi, per poi preparare report e fornire elementi di valutazione e consentire così alla politica di pianificare i futuri interventi. Idea meritoria: mandare proprio i medici che ogni giorno stanno in prima linea nell’emergenza (e che da anni denunciano le falle nel sistema e chiedono dati, soluzioni, verifiche, spesso inascoltati) a verificare come funzionano le cose in tutti i presidi di Pronto Soccorso in tutta l’isola. Sperando che le valutazioni e i suggerimenti che emergeranno si traducano in atti concreti da parte della politica. Ma qualcuno esprime perplessità, soprattutto in merito alla necessità di nominare una commissione per rilevare problemi che sono noti e ben più gravi di una gamba ingessata con il cartone: “Solo per fare un esempio: molte delle ASP siciliane hanno caricato sui primari di Pronto Soccorso l’obiettivo dell’abbattimento del sovraffollamento” spiega il dottor Giovanni Noto, primario del Pronto Soccorso del “Giovanni Paolo II” di Ragusa e presidente regionale SIMEU, Società Italiana Medicina di Emergenza e Urgenza, che non fa parte della commissione. “Ma se è vero come è vero che il problema del sovraffollamento si manifesta in PS ma si genera altrove, dare l’obiettivo della risoluzione di questo problema a chi ne soffre equivale a non volerlo risolvere. E’ ovvio che non potremo mai raggiungerlo, a causa dell’intero sistema ospedaliero e dei reparti che non ci danno la possibilità di ricoverare i pazienti. Ai reparti, però, questo obiettivo non è stato dato”.
Sovraffollamento uguale morte.
Dicevamo, all’inizio, del sovraffollamento dei Pronto Soccorso: non è solo un tecnicismo, non significa solo caos, promiscuità, attese, ma anche rischio di errore, eventi avversi e pericolo per la vita stessa dei pazienti. Perché se un Pronto Soccorso ha una determinata capacità ricettiva, e poi invece è costretto ad accogliere un numero di pazienti ben al di sopra di quelli definiti dalla direzione sanitaria, è chiaro che l’errore e le tragedie sono dietro l’angolo. Ebbene, in una città come Palermo, capoluogo di regione con un bacino di abitanti di quasi un milione di persone, su sei Pronto Soccorso, ben 3 risultano essere “omologati” per meno di 30 pazienti. Tra questi troviamo anche il Policlinico di cui sopra, rifatto con la famosa spesa di 6 milioni di euro; può ospitare 25 pazienti e sempre in questo martedì di settembre ne ha già 48, con 7 in attesa, indice di sovraffollamento del 160%. A questo punto, viene da chiedersi se non fosse opportuno creare più posti letto che sale chirurgiche. Non è nemmeno il “peggiore”: l’Ingrassia, omologato per 13, ha 32 pazienti già dentro e 4 in attesa, indice di sovraffollamento del 246,15%. Il Buccheri La Ferla, che serve tutta la parte est della città, e anche grossi paesi della provincia, ha solo 12 posti autorizzati, ma in verità è il secondo dopo il Civico per numero di accessi all’anno, sono quasi 50.000. Com’è possibile? Che indice di sovraffollamento ha? Il sito aziendale non lo specifica.. Non ci si illuda, quindi, perché nessuno è al sicuro: i problemi non riguardano solo i piccoli presidi con un solo medico di guardia, o isolati geograficamente, perché anche i siciliani che vivono nei grandi centri urbani spesso non riescono a ottenere un’assistenza in emergenza all’altezza della situazione.
Siracusa e il “nuovo” Pronto Soccorso.
Una mezza buona notizia viene da Siracusa: l’ospedale “Umberto I”, dove per anni il Pronto Soccorso si è dovuto accontentare di locali al limite della fatiscenza ha inaugurato in pompa magna -proprio nei giorni del G7 Agricoltura- una “nuova” sede, nata però in locali già precedentemente usati dall’Emergenza/Urgenza e ora solo ristrutturati. Spesa: 1,2 milioni di euro, per rifunzionalizzare 495 mq con una nuova holding area per i pazienti in attesa di ricovero, una radiologia con Tac dedicata e una sala d’attesa definita "biofilica"(!!) per i parenti e gli accompagnatori, progettata per favorire il benessere e ridurre lo stress. Inoltre, sono stati attivati 18 posti letto, 6 dei quali per l’osservazione breve intensiva e 12 nella holding area. Medici e infermieri, però, dietro le quinte si lamentano del fatto che, nonostante la ristrutturazione, il PS rimanga comunque composto prevalentemente da una serie di piccole stanze e corridoi angusti, molto dispersivi, dove quindi i pazienti non rimangono sempre a vista da parte del personale sanitario. Durante l’inaugurazione, il governatore Schifani riesce comunque anche a far “risentire” i medici, dicendo che ha deciso di controllare da vicino la situazione dei Pronto Soccorso dell’isola, effettuando “blitz” a sorpresa, senza avvisare nemmeno mezz’ora prima, per non dare modo di organizzarsi: “Come se le responsabilità di ciò che non funziona sia la nostra, che stiamo h/24 in emergenza e siamo l’unico presidio dove i cittadini trovano sempre cura e assistenza” ci dice off record un medico presente.
Undici milioni di euro dalla Regione contro il crack. E l’emergenza?
Certo, davanti a tutto questo, gli 11 milioni di stanziamento, da parte del Governo della regione, per il contrasto all’uso del crack, (il doppio di quanto speso per il Pronto Soccorso del Policlinico di Palermo, 10 volte tanto quanto speso per il Pronto Soccorso dell’Umberto I di Siracusa, più di due terzi di quanto speso per il “Garibaldi centro” di Catania, anch'esso ristrutturato recentemente) suona un po’ stonato. Non si fanno le guerre tra poveri, è vero, ed è giusto preoccuparsi dei devastanti effetti delle droghe: ma viene da chiedersi se -quando la coperta è così corta- non si debba pensare prima di tutto all’emergenza, quella dell’oggi. Se non si debba pensare innanzitutto a quegli ospedali dove ora, più tardi, stanotte, potrebbero arrivare i siciliani in bilico tra la vita e la morte. A tutti quei Pronto Soccorso dove non troveranno nessuno che sappia impiantare un contro-pulsatore aortico, dove non ci saranno 12 medici a provare a strapparli alla morte, perché in turno magari ce n’è solo uno, dove l’ECMO non sarà disponibile, perché a stento funziona la TAC. Dove aspetteranno in ambulanza, in fila per strada. O dove suoneranno dietro una sbarra, che forse si aprirà o forse no. O dove aspetteranno invano il loro turno o dove, forse, moriranno.
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