Perché i rapper a Sanremo si vergognano del rap?

Leggendo le classifiche e i siti specializzati in musica, la conclusione, a fine anno, è sempre la stessa: il rap (declinato spesso nella esiziale variante trap) è la musica più ascoltata in streaming, sia in Italia che nel mondo. Non a caso, tra i primi 10 album più venduti in Italia nel 2023, troviamo 6 ben rapper (Geolier, Lazza e Tedua sul podio, seguiti da Sfera Ebbasta, Shiva e Guè).

Poi arriva la settimana di Sanremo, un mondo a parte con i suoi codici e stilemi, si annunciano diversi nomi di rapper, ma, come per magia, il rap sparisce dal palco del Teatro Ariston per lasciare spazio a generi più radiofonici come l'urban, il pop o la dance più dozzinale.

Sembra quasi che i rapper in gara si vergognino di portare a Sanremo quello che sono nelle altre cinquantuno settimane dell'anno e che, per essere accettati dal pubblico generalista e spesso agè della kermesse canora più seguita e amata, siano costretti a indossare panni che non sono loro (non solo musicalmente). Può piacere o meno, ma Amadeus ha portato una sua idea musicale ben precisa a Sanremo negli ultimi cinque anni: molti brani radiofonici, brevi e con la cassa dritta, a discapito della classica ballad sanremese tutta interpretazione, pathos e archi, pensati soprattutto per l'ascolto in streaming e per i passaggi radiofonici in alta rotazione, per non parlare del rap e del rock (se si esclude il colpo di fortuna dei Maneskin nel 2021, che infatti non si è più ripetuto), praticamente assenti dalla kermesse. E pazienza se 2/3 della canzoni finiranno nel dimenticatoio nel giro di pochi mesi: "Ama" si potrà vantare, a fine anno, degli ottimi risultati in streaming di quei 7-8 brani di Sanremo 2024 che hanno funzionato (già immaginiamo che saranno quelli di Annalisa, Angelina Mango, Mahmood, The Kolors, Geolier, Negramaro, Alessandra Amoroso ed Emma), con la grancassa mediatica pronta a lodarlo e a proporlo a vita come direttore artistico del festival, sfidando anche Mattarella per un secondo settennato.

Amadeus, da consumato uomo di spettacolo, sa bene che il rap non ha mai avuto molta fortuna a Sanremo: da Caparezza (che nel 1997 ancora si faceva chiamare Mikimix) a Frankie Hi-NRG Mc, da Piotta ai Sottotono, da Clementino e Moreno fino ad Anastasio e Rancore, i rapper sono sempre rimasti lontani dal podio sanremese e dall'alta rotazione radiofonica. Poi arriva Amadeus come direttore artistico del festival ed ecco l'ideona: seleziono i rapper per richiamare un pubblico giovane, che li ascolta con lo smartphone e le cuffie tutto l'anno, ma poi gli faccio cantare un brano che non è rap per non turbare troppo le orecchie del pubblico over 65 e musicalmente conservatore di RaiUno. Per restare alle ultime tre edizioni, nel 2022 Achille Lauro, Dargen D'Amico, Rkomi, Aka7even e Highsnob (tutti provenienti dal mondo rap) hanno portato canzoni non rap, stessa cosa nel 2023 per Lazza, Mister Rain, Madame, Rosa Chemical e Articolo 31, mentre nel 2024 perfino due rapper "puri" come Geolier e Ghali, oltre a Dargen D'Amico, Mr Rain e in parte Il Tre, hanno rinunciato a portare barre e versi in rima per dirigersi verso altri mondi sonori, più "commestibili" per gli oltre 10 milioni di spettatori a casa.

Insomma, il demiurgo Amadeus ha trasformato il metallo grezzo e street del rap in oro per le piattaforme streaming e per le radio commerciali, basti pensare che Dove si balla di Dargen D'Amico e Cenere di Lazza sono di gran lunga i due maggiori successi in carriera dei (ex?) rapper. Curioso che anche due canzoni con una forte impronta politica come Casa mia di Ghali e Onda Alta di Dargen D'Amico siano rispettivamente un brano urban/ electrofunky (Casa mia) e un brano dance in stile musica da giostra/Eurovision (Onda Alta). Ed è strano che anche un rapper credibile e universalmente rispettato come Geolier, con una sua cifra stilistica molto riconoscibile e forte di numeri impressionanti (ben 53 dischi di platino e 23 dischi d’oro e oltre 1.4 miliardi di streaming audio/video) abbia rinunciato quasi del tutto al genere che gli ha portato così tanto successo per un brano urban/dance furbo e accattivante come I p' me, tu p' te, che già ci immaginiamo come la nuova Cenere, un sicuro successo in streaming, in radio e nelle discoteche, che ci accompagnerà almeno fino all'estate, se non oltre. Storicamente, sono diversi i rapper che si sono spostati gradualmente dall'alveo hip hop all' r&b: pensiamo a Neffa, il più grande di tutti, a Ghemon, a Nesli e alla talentuosa Madame.

Però un conto è un percorso artistico lento e graduale, mentre è ben altra cosa "snaturarsi" solo ed esclusivamente per Sanremo, probabilmente ingolositi da una ribalta così grande e importante, con milioni di occhi su di te, anche di persone che, fino a cinque minuti prima, non sapevano nemmeno della tua esistenza. Chuck D dei Public Enemy, uno dei gruppi più importanti e rispettati nella storia dell'hip hop, diceva che "il rap è la CNN del ghetto", mentre oggi, in Italia, spesso non è altro che un ingranaggio funzionale al meccanismo televisivo e social del Festival di Sanremo, perfettamente rodato e oliato nell'ultimo quinquennio dallo scaltro direttore artistico Amadeus. Concludiamo queste riflessioni con due domande: rapper, perchè vi vergognate di portare a Sanremo quella musica con la quale siete cresciuti per anni e che vi ha dato fama e ricchezza? Amadeus, perchè, in un festival con 20 canzoni (su 30) in stile Hitmania Dance o Deejay Time, con la cassa dritta e con poca fantasia, non hai trovato spazio nemmeno per un brano rap "puro"?

Attendiamo risposte.




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