Lifestyle
February 07 2024
Amadeus entra sul palco di Sanremo come un calciatore, facendosi il segno della croce. Ed è subito Dio, Patria e Crochet.
La nostra liturgia laica, il girone dantesco della canzone italiana, Sanremo santa e dannata. Ed è partito con il botto, neanche fosse a Medellin, con l’allarme bomba durante una cena elegante a Villa Nobel. (Quel cattivone di Fiorello, sottolinea: «Tutti hanno tirato un sospiro di sollievo quando la polizia è piombata lì solo per la bomba»).
Ormai è come in quel film di Sidney Pollack con Jane Fonda “Non si uccidono così anche i cavalli?”, dove un’estenuante maratona di ballo stroncava i ballerini. Qui gli stroncati siamo noi, l’asticella si alza sempre più e ci perdiamo tra le tute d’oro degli spaccini di Mahmood e la strepitosa giacca con gli orsetti di Dargen, l’unico a dire una cosa dal mondo reale. Dietro l’orsacchiotto c’è molto di più.
Only the brave. Solo i coraggiosi hanno avuto il privilegio di ascoltare Il Tre. E noi all’una e 48 ce l’abbiamo fatta, tagliando il traguardo. Certo eravamo “fragili come la neve “, come canta il rapper. Anzi fragilissimi, soprattutto dopo quasi sei ore di «Sanremo 20 (hesitation) 24», come lo pronuncia Ama.
Ma l’attesa de Il Tre è meglio de Il Tre? Lo scopriremo solo vivendo. Intanto si abballa con il pigiamone di pile, rosicando per le gambe sode come il marmo di Loredana Bertè. È lei la nostra incontrastata Queen, la numero uno. Arriva sul palco in un mix psichedelico tra primo giorno d’asilo e cosplayer giapponese. Il suo brano è molto più efficace di tante sedute pagate allo psico: «Sono pazza di me, perché mi sono odiata abbastanza». Per noi ha già vinto. E anche per la Sala stampa. I social si alzano in standing ovation: «Noi siamo pazzi di te», «Favolosa, unica, inimitabile», «Ma come fa a non avere neanche una vena varicosa?». Appunto, anche per questo merita la vittoria.
Ma non sono solo le sue le gambe ammirate. Annalisa in reggicalze fa strage: «A metà canzone è già disco d’oro», «È la nostra Taylor Swift». Siamo condannati a cantare “Quando, quando, quando” da febbraio fino ad agosto. Scende scalza Fiorella Mannoia con lo stesso abito bianco di Sofia Vergara in versione Griselda Blanco e ci regala l’inno che verrà cantato a ogni corteo di donne. Con la benedizione di Fabrizio De André. E poi c’è Angelina Mango con La Noia. “Muoio senza morire, vivo senza soffrire”. Altra life coach (ci cade sul vestito stile tappeto): «Ti sei divorata il palco», «Icona», «Quest’anno vince pure la Champions», twittano.
Big Mama, Il Tre e Gazelle dedicano la performance a mamma e papà e noi ci sciogliamo. Irama invece, con quella sua maglietta fina (e termica) ci riporta in vita. Non è solo bello lui, ma pure il pezzo. Ghali vestito da fatina delle Winx ha il testo più tosto e profondo. Grazie.
Ma il divino, il vero protagonista della serata è Marco Mengoni con le sue mille sfumature di traforato. Da luccicante centrino del tinello al crochet più selvaggio. Fino all’imponente mise da Papessa dei tarocchi, davanti cui non possiamo che inchinarci. A tratti forse troppo Michel Serrault nel Il Vizietto, ma è solo un attimo. Quando sul finale appare con la camicia bianca sbottonata e il jeans di perle, mezzo Paese ha iniziato a dubitare della propria eterosessualità. Show must go one. Bombola d’ossigeno e si riparte.
Ci sono i Ricchi e Poveri che cantano avvolti in un grande fiocco rosso, che fa un po’ decorazione natalizia da appendere alla porta. Ma sono belli i due Angeli, dopo tradimenti, dolori, morti, sono sopravvissuti alla vita con ancora la voglia di ballare. Esempio. E anche se lui ha un parrucchiere da mandato di cattura internazionale, restano superlativi. Mentre li guardiamo ci passa davanti la nostra Storia e anche se gridano di “Vivere fino all’ultimo” il dubbio che l’ora della Rsa si avvicini ci assale. Intanto il pubblico balla scatenato e inconsapevole.
Ama dà tutto se stesso, generoso come sempre intrattiene pure gli artigiani della qualità, sedendosi sulle ginocchia del presidente di Rai Cinema. Anche se a volte eccede un po’ nello Spoon River. Tutto fila liscio, anche troppo a tratti. La noia, (quella di Sartre e non quella gioiosa di Angelina), ci assale. Leggera, un tedio sottile, tutto troppo buono, pulito, corretto. «Eccheppalle sto Sanremo!» declama Mengoni in gonna di pelle (citazione dell’immensa Anna Marchesini).
Amadeus ormai vede la luce oltre il tunnel. Può pensarsi libero. A noi “spiaze”, ma quanto sarebbe bello se il Festival lo presentasse Ibra, che ora sta seduto in prima fila. Immaginate, i cantanti annunciati con quel suo accento slavo, da jalijas sarajevese. Brividi. Sognando tanta maschia possenza, inneggiamo a Loredana. E viva sempre Santa Maria delle Mole.