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February 08 2023
Ci siamo, anzi ci risiamo. Parte il Festival di Sanremo e per una settimana l’Italia tutta sarà attratta dall’immarcescibile tubo catodico firmato Rai Uno -con il sempre più invasivo corredo social-mediale- a seguire le gesta della musica nostrana: discuteremo di quel testo, di quell’abito di scena, di una battuta poco felice ma, alla fine, ciò che conta è esserci stati, aver iscritto il proprio nome nella lista delle canzoni partecipanti.
E cosa vuoi che sia sfiorare l’ultimo posto (chiedetelo a Vasco Rossi di Colpa di Alfredo e Vita spericolata) se poi proprio dalla Riviera dei Fiori parte una carriera sfolgorante. Di sicuro c’è che il Festival fa parte della storia del costume italico, profondamente mutato nell’ultimo settantennio: modernizzazione tumultuosa e crisi politico-economiche hanno accompagnato un Paese da sempre maledettamente diviso su ricostruzione e boom, crisi energetiche e contestazioni, terrorismo e mafia, politica ballerina e rigurgiti anarchici. Ma il Festival per antonomasia ha letteralmente accompagnato il faticoso cammino della nostra Italia, in cui politica, giornalismo, editoria, radio, televisione e social media continuano a plasmare la società: senza dimenticare, almeno una settimana all’anno, la musica. Canzoni ocanzonette, testi impegnati o versi scanzonati spiccheranno il volo dalla Rivieraligure, le cui amenità paesaggistiche hanno imparato a fare coppia, nel tempo, con lospazio culturale che l’appuntamento è riuscito a conquistarsi. Anche con l’immancabile spietata analisi sociologica, tanto da spingere Pier Paolo Pasolini a definire “Il Festival di Sanremo e le sue canzonette (sono) qualcosa che deturpa irrimediabilmente un società (…)”. Altri tempi, altre analisi. Ne siamo sicuri?
Panorama.it ha chiesto aiuto a Ercole Parini, sociologo che si occupa dei fenomeni mediali e a Massimo Scaglioni, storico dei media, per cercare di capire perché, tra le incertezze del nostro tempo, il Festival di Sanremo resiste indomito. Al passaggio del tempo, ovviamente….
Professor Parini, “Sanremo è Sanremo”…
«Sempre: un’istituzione nazionale che segna un raccordo tra diverse generazioni, capace di cambiare pelle come è cambiata la nostra società, garantendone una sorta di continuità, in particolare tra le generazioni più giovani. In più la kermesse ha contribuito a costruire la memoria, la fisionomia culturale di questo Paese».
Una rassegna diventata lo specchio della nostra società, ben oltre la semplice esibizione canora.
«La musica c’è, è importante, anche se a fasi alterne. Il drammatico episodio del suicidio di Luigi Tenco, nel 1967, dimostra come, al di là del dato prettamente canoro, questa vetrina canora rappresenti ancora quel grande contenitore medial-culturale capace di assemblare accadimenti ed azioni non direttamente riconducibili alle note musicali. E’ anche un momento per tastare il polso del Paese su temi diversida quelli musicali. La società italiana non può certamente rimanere sullo sfondo di questo evento».
E’ compito dei sociologi indagare in questo senso…
«Sanremo si presta all’indagine sociale su come la società italiana si sia rapportata alFestival nei vari anni, quelli della contestazione e quelli del riflusso, quelli dell’avvento della televisione e quelli dell’esplosione dei social media. Si tratta di comprendere la stessa evoluzione del fenomeno musicale in rapporto alle mode e ai gusti sociali, perché -alla fine- tutti finiscono per sbirciare il Festival con diverse modulazioni».
Sull’appuntamento canoro sembra focalizzarsi la teoria dei media come agenti della socializzazione.
«Il Festival stesso è diventato elemento socializzante. Registro la pratica degli adolescenti che usano ritrovarsi in casa per assistere insieme alle serate canore. Ebbene, il dato è estremamente fecondo per noi studiosi sociali, perché dimostra come la generazione che definisce la propria identità prevalentemente sui social media si ritrovi compatta oggi per Sanremo molto più di quanto non capitasse alla nostra generazione, che mostrava qualche atteggiamento più snob».
Il Festival come collante generazionale, allora.
«Oltre ad essere intergenerazionale e transgenerazionale, l’appuntamento festivaliero sembra aver assunto proprio la caratteristica di omogeneizzare la nuova generazione, che vive il Festival come un rito, molto più di come l’abbiamo vissuta noi poco più che cinquantenni».
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Professor Scaglioni, ci definisca il Festival di Sanremo!
«Senza ombra di dubbio l’evento mediale per antonomasia della televisione italiana. Non solo in termini numerici, come programma più seguito dell’anno, ma anche come capacità di mettersi in connessione col “sentire” del Paese. Lo scorso anno si è
superata la soglia dei 13 milioni di spettatori medi, con una share elevatissima, e quest’anno credo che saremo su livelli analoghi (se non superiori almeno per quanto riguarda la share)».
Evento mediale in che senso?
«Si tratta di un’espressione teorica coniata dagli studiosi dei media (in particolare nel famoso testo di Daniel Dayan ed Elihu Katz) per eventi di grande rilevanza per una comunità nazionale, anche in grado di “celebrare” valori comuni, non fosse altro il senso di condividere un grande rituale condiviso. Nel caso di Sanremo la musica è indubbiamente l’ingrediente portante, ma con esso si mescolano costume, moda, politica, attualità…».
Il Festival, nel tempo è divenuto un contenitore, in pratica…
«Sarebbero tali e tanti gli esempi dei casi “politici” in senso largo da ricordare che faremmo fatica a sottolineare come spesso la musica rappresenti un punto di partenza e un ingrediente di un evento mediale».
A proposito, il caso della partecipazione del presidente ucraino Zelensky sembrava andare in questa direzione…
«La partecipazione di Zelensky sarebbe stata sorta di evento mediale nell’eventomediale: certamente uno dei momenti più seguiti e attesi. La scelta poi di fare marcia indietro sulla presenza di Zelensky ha generato confusione, e la scelta della lettera da leggere ha del tutto depotenziato il suo valore».
E’ per questo che un appuntamento come Sanremo è destinato a non andare mai in crisi?
«Per la sua capacità di rappresentare, anche solo per una settimana, i temi portanti della comunità nazionale: dalla musica all’attualità, dalla moda alla cultura. E’ come un grande contenitore di tante cose, non solo di canzonette, come qualcuno ha detto. Dunque anche un momento per ricordare una guerra nel cuore dell’Europa».
Ercole Giap Parini, calabro-milanese, classe 1968, è professore ordinario di Sociologia generale e direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dellaUniversità della Calabria, dove insegna, tra l’altro, Sociologia e ricerca sociale presso il corso di laurea in Media e società digitale. Studioso del rapporto tra letteratura e strumenti di comunicazione, ha in uscita con i colleghi Olimpia Affuso e Alfonso Amendola “L’odore della vita. Pier Paolo Pasolini. L’opera, la conoscenza, l’impegno pubblico”.
Massimo Scaglioni, milanese, classe 1974, è professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere dove insegna Storia dei media ed Economia e marketing dei media e delle industrie creative nell’Università cattolica di Milano. Direttore del CeRTA (Centro di ricerche sulla televisione e gli audiovisivi), ha di recente pubblicato “Total tv. Intrattenimento, fiction, informazione e sport frabroadcasting e streaming”, Milano 2022.