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Scandalo affidi: il business sulla pelle dei bambini

Un paio di numeri fa mi sono occupato di una vecchia storia accaduta a Mirandola, in provincia di Modena. All’improvviso, tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998, un gruppo di famiglie, quasi tutte cattoliche, venne accusato di praticare riti satanici e di molestare i figli, abusandone sessualmente. Molti furono arrestati e i bambini vennero tolti ai genitori per essere dati in affido. Il prete del paese finì sul banco degli imputati e, prima di essere assolto, morì di crepacuore. Anche gli altri accusati furono assolti, ma solo dopo molti anni, quando ormai le famiglie messe sotto inchiesta si erano sfasciate e i figli erano grandi senza esserlo diventati accanto ai loro legittimi papà e mamme.

All’epoca, di questa storia si occupò solo un quotidiano, quello che dirigevo, il Giornale, mentre tutti gli altri declassarono la vicenda a pura cronaca, per giunta delle più squallide, da liquidarsi in breve. Il Giornale, invece, fin da subito cercò di dare voce alle vittime, perché le accuse rivolte contro di loro erano del tutto inverosimili. Purtroppo il nostro impegno non bastò a cambiare il corso delle cose. Ci vollero anni e una infinità di udienze perché la verità venisse a galla e solo mesi fa qualcuno, sui giornali, ha cominciato a chiedersi come sia potuto accadere. Bene, anzi male: dalla settimana scorsa abbiamo la risposta alla domanda.

A Reggio Emilia, cioè a poca distanza da Mirandola, è successo di nuovo. Assistenti sociali e psicologi hanno riprovato ad accusare di abusi sui minori una serie di famiglie, allontanando i figli dai legittimi genitori per darli in affido ad altre coppie. Questa volta però a finire in carcere non sono stati i papà e le mamme, colpevoli solo di essere persone semplici e indifese davanti alla macchina della giustizia e di quel grande business che è l’assistenza ai minori. Dietro le sbarre sono finiti gli psicologi, le «esperte di infanzia» abusata, i professionisti dell’affido. La Procura, invece di credere alle loro accuse nei confronti dei genitori, ha creduto a mamme e papà, scoprendo un sistema infernale. Altro che riti satanici nella Bassa modenese. I riti erano quelli messi in atto per indurre dei bambini ad accusare genitori innocenti. Le assistenti sociali si incaricavano di suggerire ai piccoli che cosa dire negli interrogatori, inventando abusi che non c’erano. I più riottosi tra i bambini venivano «aiutati» con una «macchina dei ricordi», ossia con uno strumento che con elettrodi applicati alle mani generava scosse elettriche.

Era un vero e proprio lavaggio del cervello quello che veniva fatto e, nel caso non bastasse, si «aggiustavano» i disegni, modificando quelli dei bambini con l’inserimento di riferimenti ad atti sessuali, così da provare le violenze. Le famiglie oggetto delle attenzioni ovviamente non erano scelte a caso, ma si puntava su quelle più semplici, povera gente insomma, perché non potesse permettersi troppi avvocati.

La storia di Reggio Emilia ha una diretta connessione con quella di Mirandola, perché dietro ci sono lo stesso psicoterapeuta e la stessa struttura di vent’anni fa. «Hansel e Gretel», un centro di Moncalieri specializzato in abusi sui minori, e Claudio Foti, un professionista «esperto» nel far emergere i ricordi dei bambini, in particolare quelli in famiglia. Foti, oltre a guidare la onlus torinese, per 12 anni è stato giudice onorario del Tribunale dei minori. Ma per i magistrati di Reggio che ne hanno disposto l’arresto, lui e la sua compagna suggerivano ai piccoli che cosa dire e che cosa ricordare, costruendo violenze mai esistite.

Lo facevano per soldi, secondo l’accusa, facendosi pagare per servizi di cui non c’era bisogno. Ma forse lo facevano anche per motivi ideologici. Negli atti giudiziari vengono a galla problemi personali di una delle assistenti sociali, «una rabbia repressa sfociata poi negli atteggiamenti sui minori», ma anche le tendenze sessuali di un’altra esperta: omosessuale che guarda caso affidò i bambini strappati ai genitori a una coppia omosessuale.

No, quella scoperta a Reggio Emilia non è una storia da liquidare come un caso di cronaca nera, una brutta faccenda che casualmente ha colpito i bambini. È qualche cosa di più: un sistema. Portato avanti per anni con la complicità di amministratori pubblici, dirigenti dell’Asl, funzionari nell’Emilia felix. Un sistema che ha distrutto numerose famiglie. Famiglie normali. Come la vostra.
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