News
May 28 2023
Un settore da 1,2 miliardi di euro che nell'intera filiera, indotto compreso, ne genera poco meno di 10, dà lavoro in modo diretto a 15mila persone e del giro d'affari che sviluppa ne rilascia più della metà sul territorio della montagna sotto forma di stipendi e acquisto di beni e servizi presso aziende locali. Lo sci italiano ha chiuso l'inverno 2023 con numeri di presenze in forte ripresa, mettendosi alle spalle la crisi pandemica che aveva fatto temere il peggio per tutto il settore. Non è ancora tempo di bilanci, visto che il caro energia e le scarse nevicate fino a marzo hanno costretto ad extra costi il cui impatto andrà misurato quando i consuntivi saranno pronti, però è un segnale di vitalità evidente che proietta tutta la filiera verso il futuro.
E riporta a galla anche il dibattito sulla sostenibilità dello sci in alta montagna: industria che merita di potersi sviluppare o lusso che la crisi ambientale rende superfluo? I numeri messi in fila da ANEF (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari) dicono che intorno allo sci si sta combattendo una battaglia soprattutto ideologica e che l'inverno sulla neve è molto più green di tante altre pratiche sportive e delle industrie che le sostengono. Per fare un esempio, per innevare in maniera programmata il 72% dei 3.200 chilometri di piste che si servono di questo strumento, vengono utilizzati 26,2 milioni di metri cubi di acqua all'anno. Che poi torna nel ciclo naturale a primavera, quando la neve si scioglie. Una piscina olimpionica ne utilizza 2.800 metri cubi, quelle più piccole poco più della metà e tutte insieme, le 430.000 piscine italiane, usano acqua 45 volte in più dei cannoni spara neve distribuiti sui pendii.
Lo stesso vale per i consumi energetici: 357 GWH all'anno che sono lo 0,1% del totale dei consumi nazionali. Ecco perché gli operatori del settore si sentono al centro di una questione quanto meno mal posta. Lo conferma Valeria Ghezzi, presidente di ANEF, in un colloquio con Panorama.
Lo sci è davvero un lusso ambientale che non ci possiamo più permettere?
"Io credo che il lusso ambientale che non ci possiamo più permettere sia quello di abbandonare la montagna. Lo dimostra tutto quello che sta succedendo e lo ha detto anche il Ministro dell'Ambiente: l'abbandono crea dissesto".
L'innevamento artificiale, però, fa discutere soprattutto in un'epoca di grande siccità
"Si chiama neve tecnica ed è una miscela di aria e acqua, non altro. Usiamo acqua normale, senza aggiungere cloro come nelle piscine o altro come nei processi produttivi. Acqua che viene prelevata dagli invasi o dai torrenti e poi viene restituita al ciclo. Siamo disponibili a qualsiasi indagine per approfondire, ma basti pensare che le piste da sci in estate diventano pascolo e nessuno impedisce agli animali di nutrirsi in quei prati. Dunque, non sono inquinati".
Però ormai si spara neve quasi ovunque. Non è un segnale che non ovunque si può sciare?
"Gli impianti di innevamento coprono poco più del 70% delle piste italiane e non il 90% come è stato detto da chi critica. E' una rete molto estesa perché oggi la neve tecnica è anche sinonimo di qualità e sicurezza per gli sciatori. Grazie alla programmazione siamo anche riusciti ad allungare le stagioni da 100 a 120-130 giorni: questo significa garantire sia il turista che l'industria che lavora sullo sci, compresi gli addetti che sono occupati. Con il clima di oggi, solo con la neve naturale non saremmo in grado di fare una stagione sui tradizionali quattro mesi".
Lo sci è energivoro per definizione. E' vero?
"Utilizziamo energia in larghissima parte idroelettrica, quindi rinnovabile. E poi l'impianto di risalita è un impianto di trasporto che consente di rendere accessibile la montagna al di fuori di una ristretta elìte qualcosa che altrimenti sarebbe inaccessibile e che rappresenta un terzo del territorio italiano. Vogliamo rinunciare a questo? Coprire questi dislivelli significa utilizzare mobilità elettrica alimentata da rinnovabili e in tante città del mondo si stanno utilizzando impianti a fune per bypassare il traffico".
Eppure sullo sci si sono concentrati in questi mesi pareri contrari sempre più numerosi. Perché?
"Non è solo un dibattito ideologico. Chiudendo gli impianti a fine restiamo senza alternativa e la montagna sarebbe destinata a svuotarsi negando il diritto a chi ci vive di avere non solo un lavoro, ma anche dei servizi. Quando si dice che la montagna deve essere riconvertita e l'unica idea è di tornare alle ciaspole, il modello non è una riconversione ma un ritorno indietro e condannarsi a non generare i numeri che tengono in piedi tutto il settore".
La montagna, però, sta cambiando profondamente in questi ultimi anni
"La parola giusta non è riconversione ma evoluzione ed è quello che stiamo facendo: adattare l'offerta ad altre tipologia di clientela, lavorare su estate ed autunno che ci permettono di allungare il periodo lavorativo e poi aggiungere altri prodotti allo sci e basta. Riconversione su un parco impianti di 1.700 impianti significherebbe chiuderne oltre mille. Vogliamo farlo? Prendiamoci la responsabilità di chiudere più della metà delle comunità montane che ci sono in Italia e che vivono intorno a quegli impianti".