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November 14 2014
Uno degli argomenti più difficili e, allo stesso tempo, più pericolosi da trattare in un Paese come il nostro è: il diritto di sciopero. Se partiamo dal presupposto che gli stessi Padri Costituenti, nel momento in cui si trovarono ad affrontare la questione, decisero di lavarsene le mani scrivendo uno degli articoli più vaghi dell’intera Carta (art. 40 – Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano), allora possiamo stare certi che anche noi, comuni mortali, qualsiasi cosa decidessimo di scrivere provocheremmo disappunto e inquietudine in chiunque.
Il diritto di sciopero è stata, senza ombra di dubbio alcuno, la più grande conquista dell’Ottocento ai tempi della rivoluzione industriale da parte delle Trade Unions americane nel 1824. Una quarantina di anni più tardi, questa libertà, giunse in Europa accolta in Francia da Napoleone III. In Italia bisognerà aspettare la fine del secolo, ma l’avvento del fascismo cancellò, insieme a tante altre libertà, anche la possibilità di manifestare con l’introduzione dell’art. 18 della legge fondamentale 3 aprile 1926, n 563 che considerava reato penale lo sciopero.
Scioperi politici e scioperi economici. La scissione del sindacato
Nonostante l’importanza di una simile conquista, il diritto di sciopero ha rappresentato, e continua a rappresentare, motivo di acceso dibattito e di scontro sin dall’immediato dopoguerra, tanto da diventare una delle cause principali della scissione del sindacato. Giuseppe Di Vittorio (segretario generale, comunista) e Fernando Santi (segretario confederale, socialista), al direttivo della CGIL del dicembre 1947, fecero approvare la riforma dell’art. 9 dello statuto che consentiva alla minoranza, in occasione di scioperi politici (perché era chiara a tutti, sin da allora, la distinzione tra scioperi politici e scioperi economici) proclamati dalla maggioranza del sindacato, di rendere pubblica la propria opposizione astenendosi dalla direzione del movimento. Questa decisione, però, non piacque a Palmiro Togliatti che, al VI congresso del Pci riunitosi a Milano a gennaio del ’48, attaccò duramente i sindacalisti comunisti e, in particolare, Di Vittorio, esautorandolo da alcuni incarichi per questa concessione in difesa dell’unità sindacale.
Proprio nel 1948, lo sciopero dei petrolieri, che vedeva contrapposti i dipendenti e i datori di lavoro delle aziende petrolifere, causò la paralisi del Paese per quasi tutto il mese di luglio (27 giorni) e, per assicurare i servizi necessari alla popolazione, il quinto governo De Gasperi fu costretto a fare ricorso all’utilizzo dei militari. Si calcolò che quella protesta costò, alle tasche dei proprietari di auto, circa sei miliardi di lire.
L’origine della natura degli scioperi non è sempre di facile spiegazione tanto che, il tradizionale assioma crisi/protesta non è per nulla scontato. Nei primissimi anni Sessanta, in pieno boom, si attribuiva il ricorso a questa forma di opposizione addirittura al miracolo economico che stava attraversando il Paese o anche alla forma di governo in quel momento in carica.
La marcia dei Quarantamila
Con gli anni Settanta e Ottanta le lotte sindacali, e gli scioperi in particolare, si acuiranno fino all’esasperazione, tanto da arrivare a coniare la terminologia autunno caldo, periodo in cui si concentreranno ogni genere di protesta contro tutto e tutti. Nell’ottobre del 1980, avviene quello che non ti aspetti, in quanto si assiste a quello che potremmo definire una manifestazione contro uno sciopero che provocherà una delle più cocenti sconfitte del sindacato. Stiamo parlando della storica marcia dei quarantamila.
La Fiat stava attraversando uno dei suoi tanti periodi di crisi e Cesare Romiti, a capo del gruppo, aveva stabilito, in un primo momento, di licenziare 14 mila dipendenti. Subito dopo una contrattazione con le parti sociali, sempre Romiti, optò per una cassa integrazione a zero ore per 24 mila lavoratori. Il sindacato non accettò e decise di passare allo sciopero bloccando la produzione per oltre un mese. Enrico Berlinguer si presentò ai cancelli di Mirafiori promettendo l’appoggio dei comunisti in caso di occupazione. Ma, il 14 ottobre avvenne la svolta inaspettata. I quadri intermedi, esasperati dalla forma di protesta scelta, si riunirono con il passaparola al Teatro Nuovo e da lì marciarono per le strade di Torino guidati da Luigi Arisio. Dieci anni più tardi Pierre Carniti, all’epoca segretario della Cisl, ammise la sconfitta.
Soltanto nel 1990, oltre quarant’anni dopo la stesura della Carta Costituzionale, con la legge del 12 giugno n. 146, verranno stabilite le Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, che porranno fine agli scioperi selvaggi ma non agli scioperi politici.