Tecnologia
February 22 2019
da Londra
Ci sono robot chiassosi d’ogni forma e colore: lumache arancioni dal guscio luccicante, dinosauri tigrati, sagome di bruchi, orsi ed elefanti che sciamano veloci su ruote minuscole. E poi muraglie di schermi dalla taglia esagerata, plotoni di pc, caschi per la realtà virtuale che raggirano il cervello e lo spediscono chissà dove. A vederla così, a un primo impatto brutale, la simulazione della scuola del futuro sembra un ciclopico circo ubriaco, una sovrapposizione senza ordine né criterio di plastica e rumore. Invece, esplorandola, se ne indovina il senso, se ne incastrano i pezzi: quei robot sono programmati dai ragazzi, che decidendone i movimenti imparano sequenze e regole del linguaggio informatico; i display sono lavagne interattive sensibili al tocco dei polpastrelli, i computer i nuovi libri e quaderni, i visori porte d’accesso a scenari altrimenti raggiungibili solo con gite di gruppo dai costi proibitivi: l’oceano, uno qualunque dei due poli, il deserto o la savana. È un po’ l’equivalente delle vecchie videocassette consumate nel laboratorio di scienze, ma interattive ed esplorabili a 360 gradi.
Siamo alla Bett di Londra, la fiera più importante al mondo dedicata all’istruzione e alle sue evoluzioni. Uno spazio sovrabbondante che sfrutta un fatto ovvio: le nuove generazioni hanno un feeling totale e naturale con la tecnologia, tanto vale trasferirla nelle classi, utilizzarla per coltivare le loro conoscenze. Metterla al servizio della didattica: «È un momento straordinario per essere studenti. Non devono aspettare il diploma per trasformare in pratica le loro intuizioni e le loro visioni, possono iniziare a farlo da subito» spiega a PanoramaAnthony Salcito, vicepresidente di Microsoft e responsabile globale del settore Education. La sua azienda ha donato circa 1,4 miliardi di dollari tra software e servizi per aiutare quasi 100 mila organizzazioni no profit e istituti su tutto il mappamondo nel passaggio dall’analogico verso il digitale. E a Bett Microsoft è presente in forze assieme ad Acer, Dell, Intel, HP, Google e tutti i big del settore, consapevoli, inutile negarlo, che gli utenti oggi sui banchi saranno i clienti di domani.
Accanto ai nomi noti sfila un esercito di start-up, ognuna con la sua soluzione per insegnare in modo nuovo o aiutare chi è rimasto indietro. Forse da qui è opportuno partire, da progetti come Code Jumper: piccoli dispositivi con tasti, manopole e valvole, ognuna con una funzione specifica, ciascuna collegabile tramite a un cavo a un’altra. È un puzzle di comandi, di azioni a cui segue una reazione su uno schermo: il pilastro logico, il dietro le quinte di qualsiasi software. Le istruzioni per attivarle sono in braille, il linguaggio dei ciechi. Che apprendono i meccanismi di quello informatico alla pari dei loro coetanei vedenti, i quali intanto programmano chip in grado di far muovere ventilatori di legno e di carta o far accendere lampadine su pezzi di cartone. Sembra un passatempo ma sono rudimenti di lavori d’ingegneria.
La scuola, d’altronde, è il luogo dove i ragazzi si devono attrezzare per i mestieri del futuro, che lasceranno ai margini chi non ha sviluppato le capacità adatte: «Perciò, in collaborazione con Fondazione mondo digitale, nel corso del 2019 coinvolgeremo 250 mila studenti tra i 12 e i 18 anni e 20 mila docenti in corsi per acquisire competenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale e della robotica» racconta Francesco Del Sole, direttore della divisione Education di Microsoft Italia, calando il discorso nello Stivale, smentendo il pregiudizio che Londra e le sue visioni avveniristiche siano avanguardie distanti, che ancora non ci riguardano. Per l’80 per cento, i corsi saranno in aree svantaggiate del Paese, si snoderanno tra Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, ma anche Lazio, Toscana, Lombardia e altre regioni. Con una doppia consapevolezza di fondo: sono un inizio, un esempio da seguire, ripetere, intensificare. E poi, sono solo una sfumatura di uno spettro ampio perché l’alfabetizzazione tecnologica implica dinamiche varie. «Pensiamo per esempio a quelle social» dice Del Sole: «Sono utilizzate quotidianamente per motivi ludici. La sfida è renderle formative».
A Bett abbiamo assistito alla dimostrazione di Flipgrid, un social network per le classi aperto in contemporanea a studenti, docenti e genitori. Ognuno può lasciare il suo contributo pubblicando brevi video, arricchendoli con vignette, icone, animazioni e tutto il repertorio tipico di amenità che aiutano a sdrammatizzare il contenuto e stimolare la replica, l’interazione. Un modo per semplificare il contatto tra microcosmi altrimenti serrati, poco permeabili: «Bisogna connettere le classi con il mondo esterno di riferimento, favorire il dialogo tra i protagonisti, tra i vari attori dell’universo della scuola» sintetizza Salcito. Questo è il risvolto teorico. Quello pratico: un padre e una madre sapranno sempre se il figlio è presente o assente in classe e che voti ha preso a un’interrogazione. Subito, non quando arriva la pagella o viene fissato un incontro serale con i docenti. Inoltre, i genitori saranno informati se i loro ragazzi hanno commesso qualche bravata, persino se hanno copiato: strumenti «d’integrità accademica» (espressione efficace ma un filo lugubre) come Turnitin, già adottato in 15 mila istituti di 150 Paesi, analizzano in automatico i compiti in classe, le tesine, qualsiasi file caricato sulla piattaforma e dicono in che percentuale un testo è simile ad altri documenti, archivi, pagine web. Smascherando i furbetti. Sarà pure un momento straordinario per essere studenti come rilevava Salcito, ma in tanti potrebbero arrivare a rimpiangere i tempi della penna e dei fogli protocollo in cui farla franca non era una missione impossibile.
«Però rimane fondamentale guardare al contesto, capire che tipo di pressioni subisce uno alunno per spingerlo a imbrogliare» corregge la prospettiva Marc Brackett, direttore del «Center for emotional intelligence» dell’università di Yale. Lo stesso vale per il proliferare del cyber bullismo, che è il risvolto oscuro di questa sovrabbondanza tecnologica nelle scuole, di quest’ubiquità del digitale: tutti sono connessi, qualsiasi bersaglio è raggiungibile e può essere messo alla berlina, ferito, umiliato e insultato in un gruppo su WhatsApp o su qualsiasi altra chat o social che andranno di moda domani. «Sono un fermo sostenitore del fatto che la tecnologia sia neutrale» commenta Brackett: «Dietro ogni post offensivo, c’è un essere umano. È a lui, è a ciascuno studente che bisogna insegnare a compiere le scelte migliori nell’uso di questi strumenti». Assieme alle sue mirabolanti frontiere, alle sue enormi, inedite possibilità, la scuola del futuro conserva una sfida arcaica e cruciale: «Sviluppare nei ragazzi doti relazionali e spirito di squadra. Aiutarli ad affrontare le frustrazioni». Costruire dentro di loro un’intelligenza emotiva che, di quella artificiale, è l’esatto opposto. (Twitter: @MarMorello)