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May 15 2018
[Maria Teresa Serafini, autrice dell'articolo qui sotto, tiene corsi e seminari di aggiornamento e formazione per docenti di scuole inferiori e superiori. È in libreria il suo nuovo libro Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio (La nave di Teseo, 320 pp., 18 euro), in cui analizza, partendo dalla sua esperienza diretta, i motivi della rottura del patto formativo tra studenti, famiglie e insegnanti e propone alcune concrete strategie per ricucire un rapporto equilibrato tra questi protagonisti della realtà scolastica.]
In un vecchio film in bianco e nero del 1946, Mio figlio professore, nel meraviglioso palazzo del liceo Visconti di Roma, Aldo Fabrizi è un bidello vedovo che cresce un figlio cercando di farlo studiare e farlo diventare professore, il sogno della sua vita: ci riesce, e alla fine del film il giovane professore, in giacca e cravatta, è in cattedra a insegnare latino nella stessa scuola in cui lui è bidello.
Il film presenta un mondo passato, quello dell'insegnante è un lavoro che ben pochi genitori augurerebbero oggi a un figlio. La professione di insegnante è difficile, poco remunerativa, molto esposta alle tensioni sociali, spesso contestata dagli studenti e dai genitori. Però è anche un lavoro che può dare soddisfazioni straordinarie, e che molti insegnanti vivono con passione ed entusiasmo.
Nell'aula magna della scuola, al collegio docenti, mi guardo attorno e osservo i miei colleghi. Tante signore con i capelli tinti, qualche ragazza giovane, rarissimi gli uomini. I docenti, dicono le statistiche del ministero, sono nell'80 per cento donne e hanno un'età media di 54 anni, gli insegnanti maschi al di sotto dei 34 anni sono solo lo 0,3 per cento del totale.
Molte le docenti in jeans, negli ultimi anni è raro vedere pellicce e gioielli, come capitava in passato, quando molte insegnanti erano mogli di professionisti abbienti. Oggi è più frequente trovare coppie di insegnanti che vivono in condizioni difficili, e che devono fare grande attenzione alle spese. Una coppia di colleghi racconta di aver lasciato ai figli la loro camera da letto, mentre loro, che sono più ordinati, si devono accontentare del divano letto in soggiorno.
Io ho insegnato a lungo a Milano, ove molte colleghe provengono da regioni del Sud, e affittano una stanza, talvolta solo un letto: dallo stipendio iniziale di circa 1.200 euro mensili, mettono da parte i soldi per tornare ogni tanto nei luoghi di origine. Quelle di loro che hanno lasciato bambini ai mariti o ai nonni a migliaia di chilometri utilizzano le tante possibilità di congedi per tornare in famiglia, creando di fatto seri problemi alla vita delle classi. Le statistiche ministeriali dicono che lo stipendio medio lordo degli insegnanti non arriva ai 24 mila euro l'anno; questo dato spiega in modo molto crudo, specie confrontandolo con gli stipendi di altri Paesi europei, perché gli insegnanti hanno perso lo status sociale che avevano nell'Italia del dopoguerra.
Uno dei maggiori drammi dei docenti di oggi è la burocrazia: programmazioni di classe o individuali, moduli da riempire per ogni evento anomalo, registrazione dettagliata di ogni attività, votazione, verifica, lavoro in classe. Molti docenti si preoccupano più delle carte che della didattica, come se la completezza della documentazione potesse garantire automaticamente la qualità del lavoro con i ragazzi.
Purtroppo spesso la programmazione consiste nel copiare testi ed elenchi di parole chiave da documenti fatti in altre scuole o da internet, ma poi non viene seguita. Le carte sono poi rese complicate dal mito della collegialità che regna a scuola: tante carte debbono essere riempite da tutti i docenti insieme, ma di fatto nelle riunioni comuni spesso capita solo di ratificare e ricopiare decisioni già prese, come per il voto o il giudizio per la condotta.
Negli ultimi anni di insegnamento nella scuola secondaria di primo grado, ho sofferto in particolare agli esami finali: una decina di docenti deve ascoltare gli orali, abbastanza scontati nei loro esiti, di tutti gli studenti, senza l'organizzazione di sottocommissioni come capita perfino all'università: centinaia di ore che potrebbero invece essere dedicate, durante l'anno, a progetti didattici comuni per i quali invece non c'è mai abbastanza tempo.
A scuola girano tante circolari ma pochi libri: si discute di qualche romanzo, di qualche libro di pedagogia. Alcuni docenti non leggono, non vanno alle mostre, ai concerti o a teatro, e la loro cultura è ferma agli anni ormai lontani del loro liceo o dell'università. Accanto a loro, ci sono docenti che dedicano interi pomeriggi a corsi e laboratori di aggiornamento: ne incontro molti nei seminari e laboratori dove, come linguista, mi occupo di didattica della grammatica e della scrittura. Prendono appunti, creano esercizi, studiano le bibliografie consigliate; alcuni si fanno vivi a distanza di tempo per commentare i loro successivi lavori in aula.
Ho insegnato sette anni Scienza dell'educazione all'Università statale di Milano-Bicocca nei corsi di formazione insegnanti; lavoro molto interessante ma faticoso, in grandi aule con 180 insegnanti generalmente precari. Dato che mi rivolgevo a persone perlopiù con esperienza di insegnamento, evitavo lunghe spiegazioni teoriche, e piuttosto proponevo loro progetti e tesine da raccontare ai colleghi in aula, oppure suggerivo approfondimenti su libri o su siti.
Alcuni di loro erano entusiasti e seri, capaci di fare presentazioni strepitose e professionali: mi bloccavano al termine della lezione o durante gli intervalli per discutere e approfondire. Alcuni di loro, invece, erano imbarazzati e incapaci di parlare in pubblico. Erano aspiranti insegnanti con doti comunicative veramente scarse, cui alla fine davo una bassa valutazione. C'era la consapevolezza, mia e loro, che sarebbero comunque entrati nei ruoli non in base al loro impegno, ma in base agli strani scherzi del destino, alle fortune che premiano categorie di alcuni anni e di alcune aree a danno di altre.
Purtroppo nella scuola c'è scarsa meritocrazia: tutti i tentativi di differenziare gli stipendi e la carriera in base alle competenze e all'impegno sono finora falliti, un po' per spinta dei sindacati, un po' per una diffusa mentalità egualitaria. È vero che valutare i docenti è difficile, ma sarebbe bello vedere maggiori riconoscimenti e premi per i docenti più in gamba.
Passando nei corridoi delle scuole, attraverso le porte aperte, mi piace osservare lo stile dei docenti. Diversi sembrano fare lezioni tradizionali con i banchi disposti in file e lunghe spiegazioni in cui gli studenti intervengono raramente, cui probabilmente seguono compiti noiosi da svolgere a casa. Ma ce ne sono altri molto creativi e fantasiosi, capaci di costruire attività di gruppo che rendono la didattica molto coinvolgente. Ho ammirato una collega di francese che ai suoi studenti faceva descrivere in lingua casette di cartone colorate e arredate, in cui ambientavano le più diverse avventure; e che alla festa della scuola faceva presentare in francese ai genitori e ai compagni delle altre classi le ricette delle crêpes con la Nutella, con degustazione collettiva finale!
Una collega di lettere era capace di trasformare la grammatica in un magnifico gioco, allenando i suoi ragazzi per le Olimpiadi dell'italiano.
Per quanto riguarda le cosiddette nuove tecnologie, sono sempre più numerosi i colleghi che usano video e internet: per esempio, alternano la lettura di testi tradizionali con la visione di film tratti dai libri, sfruttano i motori di ricerca per estrarre informazioni che completino lo studio delle materie oppure utilizzano i gratuiti e veloci dizionari on line al posto di quelli cartacei.
Per quanto riguarda le nuove metodologie didattiche, alcuni docenti si lanciano nella cosiddetta classe capovolta (flipped classroom) con cui gli studenti studiano un argomento in modo autonomo, da soli o in gruppo, e poi sono loro a spiegarlo alla classe: lo studio diventa così molto più divertente.
I miei colleghi preferiti sono gli insegnanti di sostegno: nella scuola secondaria di primo grado sono spesso tanti quanti gli insegnanti di lettere. Il loro numero negli ultimi anni è molto aumentato anche per la tendenza a medicalizzare qualsiasi problema degli studenti: alle certificazioni di handicap si sono aggiunte diagnosi sempre più numerose di dislessia e di altre difficoltà di apprendimento.
Gli insegnanti di sostegno hanno le più diverse formazioni, che per esempio includono diplomati in violino, in design e all'Isef. Purtroppo per la maggioranza di loro il lavoro nel sostegno non è una scelta, ma un ripiego per la scarsità di posti nelle loro aree disciplinari, ma il loro impegno è sempre ammirabile.
Gli insegnanti di sostegno mi piacciono perché sono i docenti con più competenze in pedagogia, dovute alla loro specializzazione; mi piacciono per la loro disponibilità a progetti interdisciplinari in cui usano il loro background culturale per sviluppare progetti di classe, valorizzando i ragazzi da loro seguiti nel sostegno. Io insegnante di lettere ho trovato bellissimo, per esempio, organizzare mostre di disegni dei ragazzi che illustravano L'isola del tesoro di Stevenson o L'inventore di sogni di Mc Ewan con la collega del sostegno diplomata a Brera, oppure costruire il blog di classe con il collega di musica esperto di musica elettronica e informatica.
Insegnare oggi è più difficile che in passato. Da una parte, gli studenti sono costantemente distratti dall'uso dei cellulari, protagonisti di casi eclatanti di cronaca quando riprendono fenomeni di teppismo, ma di fatto sempre presenti come causa di distrazione. Dall'altra, gli studenti sono sempre meno rispettosi dell'autorità e sempre più ribelli. Come conseguenza, in molte situazioni l'insegnante disperde la maggior parte delle sue energie a costruire un contesto scolastico in cui sia possibile svolgere una qualsivoglia attività.
La cronaca riporta tanti casi di studenti bulli, ma anche alcuni casi di genitori bulli che, per esempio, aggrediscono i prof solo perché ha punito il figlio che parlava troppo e dava fastidio agli altri. I genitori sono spesso il vero incubo dei docenti: vogliono intervenire sul metodo, sul programma, sui voti, sulle punizioni. Il docente è lasciato solo, dato che si è rotto il patto generazionale con i genitori: un tempo i genitori si schieravano coni docenti e si fidavano del loro giudizio, oggi invece sono spesso alleati dei figli, cui vogliono eliminare ogni difficoltà e ogni frustrazione.
Di fronte ai tanti episodi di bullismo nelle scuole ci si chiede se la colpa sia degli insegnanti e che cosa questi possano fare. Ho studiato negli ultimi anni il contrasto sempre più aspro tra insegnanti e genitori e sono arrivata alla conclusione che sono i genitori prima di tutto a dover cambiare. Innanzitutto bisogna tenere presente che i ragazzi stanno a scuola tra il 20 e il 25 per cento del tempo in cui sono svegli, il resto lo passano a casa o in altri luoghi - il campo di calcio, i social, la strada. Il tempo che i ragazzi passano con i genitori è enorme: è la famiglia che più di tutto può sviluppare nei giovani fin da bambini l'empatia, la capacità di immedesimarsi negli altri ed essere generosi.
Nel libro Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figliomostro che i genitori devono riflettere sul loro stile educativo: permettere tutto ai figli subito li rende egocentrici e incapaci di lottare; togliere loro ogni difficoltà, dalla fatica al brutto voto, li rende fragili e indifesi.
I genitori devono smettere di fare i loro avvocati e iniziare ad avere fiducia e ad allearsi con i docenti. Solo così i professori potranno lavorare senza l'ostilità dei ragazzi in classe.
Suggerirei oggi il mestiere di insegnante a un giovane? Sì, se gli piacciono i ragazzi con tutto il disordine della loro età, e se vuole dare loro valori e il buon esempio. Ricordo ore emozionanti nelle mie classi, in sintonia con gli studenti che scrivevano, leggevano, disegnavano, facevano schemi e discutevano in modo costruttivo.
È davvero un bel lavoro: ma al momento non dà uno status sociale, il percorso di entrata è una lunga corsa a ostacoli senza regole certe e prospettive di carriera. Chi può attrarre? Sicuramente chi ha una grande vocazione, ma non le persone ambiziose e che vogliono guadagnare bene.
I professori sono davvero importanti per i nostri figli e per il nostro futuro: alla politica va richiesto un serio impegno per ridare prestigio ai professori. Il percorso di assunzione deve essere rapido, con concorsi selettivi per titoli, esami e prove attitudinali; la formazione iniziale deve essere seria e l'aggiornamento deve essere incentivato; impegno, creatività e personalità vanno premiati, e i salari vanno portati al livello del Nord Europa.
(Articolo pubblicato sul n° 21 di Panorama in edicola dal 10 maggio 2018 con il titolo "Lotta di classe")