Conte Presidente Consiglio
ANSA/ANGELO CARCONI
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Se il governo Conte dimentica la cultura

Da un accademico, come il Prof. Giuseppe Conte, ci saremo aspettati un passaggio sulla cultura e sulla scuola nel discorso programmatico alle Camere e invece nulla.

Ci eravamo abituati a controbattere chi affermava che “la cultura non si mangia”, ma di fronte alle omissioni del neo premier sul tema, c’è solo da preoccuparsi.

La cultura unisce il nord ed il sud

Per anni abbiamo sentito ripetere che la cultura era "l’oro nero" di questo Paese, unito da nord a sud da un patrimonio artistico, culturale e paesaggistico che tutto il mondo ci invidia.

Per non parlare delle arti, delle tradizioni che rivivono in centinaia di sagre e festival, della tradizione eno grastronomica delle nostre regioni che rendono l’Italia, paese e mondo allo stesso tempo. L’industria culturale del nostro paese che si accompagna a tutto il patrimonio artistico disseminato nelle nostre città rappresenta il motore della memoria di un popolo che si riconosce in qualcosa di passato per proiettarsi nel futuro.

Ogni angolo di questo paese ha una leggenda, una storia, una biografia da ricordare. La cultura di una persona non è fatta solo di quello che si è imparato a scuola, ma anche dai racconti, dalla crescita personale e umana che deriva dagli scambi con le persone che si incontrano.

La cultura apre le menti, questo governo vuole chiudere i confini.

Il governo dei confini (mentali)

E proprio la chiusura mentale e di ogni tipo di confine è nel programma di governo dopo essere stata alla base di anni di campagna elettorale a partire dalla stigmatizzazione dell’immigrato, descritto come un invasore e scroccone. Salvini ha promesso centri di accoglienza chiusi per evitare che gli immigrati vadano girovagando per le città incontrandosi magari con gli abitanti locali.

Così come il ministro Fontana a poche ore dalla nomina a ministro della Famiglia ha cominiciato a fissare i paletti del suo mandato prendendosela con quelle centinaia di famiglie arcobaleno e i loro bambini. Impercettibilmente, attraverso gesti e dichiarazioni, ogni giorno si costruisce un pezzo di muroutile a isolare una minoranza

Lo stereotipo ha paura della cultura, il pregiudizio trova nella cultura il suo vaccino. Il popolo che non sa è meno critico e nel bene o nel male, tutti i governanti hanno sempre cercato di manipolare le informazioni a proprio vantaggio.

Di questa deriva verso l’omissione studiata, si è accorto anche l’ex ministro Orlando che promette con una battuta “meno uffici stampa e più uffici studi”.

Le parole di Segre

Sarà per questo che l’intervento in aula della senatrice Liliana Segre, scampata ai campi di concentramento, ha toccato fortemente l’opinione pubblica. Le sue sono state parole strappate ai libri di storia, testimonianza diretta di una cultura democratica sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti e arrivati fino ai giorni nostri sulle gambe di una donna che oggi si definisce semplicemente “una nonna”.

Una testimonianza diretta di quasi un secolo di storia che spesso si tende a cancellare, come si cancella una parola su un foglio word. Con la stessa impercettibile superficialità.

La democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi, e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui” dice la senatrice a vita. E in effetti la cultura aiuta a schierarsi, a scegliere la parte in cui stare.

Con questa leggerezza si cancella la cultura da un discorso programmatico, lasciando cadere la cultura e la storia di questo paese nell’oblio, generando indifferenza verso il nostro essere italiani, accontentandoci di essere un popolo indistinto che ha bisogno di un avvocato.

Un Professore che ha colpevolmente cancellato dalle sue repliche in aula, il nome di Piersanti Mattarella, derubricandolo ad un semplice "congiunto" del Presidente della Repubblica, cancellando la sua storia e il perchè sia stato ucciso. Cancellando la sua morte si cancella anche la stagione dell'omicidio di Aldo Moro e una stagione di sangue che ha bagnato la storia democratica di questo Paese. Ecco perché questa dimenticanza è più grave delle altre.

“La cultura permette di distinguere tra bene e male, di giudicare chi ci governa. La cultura salva”. Lo diceva il maestro Claudio Abbado, un altro senatore a vita.

Ora si capisce perché la parola “cultura” nel contratto di governo non c’è.

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