La Mecca, Arabia Saudita
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Se sciiti e sunniti facessero la pace: compromessi e conseguenze

Quest’anno durante il tradizionale pellegrinaggio dell’hajj alla Mecca, si poteva ascoltare, dall’enorme folla, anche preghiere sciite. Quest’anno dopo il divieto del 2016, sono stati 86mila gli iraniani che si sono potuti aggiungere agli oltre 2,3 milioni di musulmani che hanno camminato attorno alla grande pietra di basalto nera della Kabaa.

Il ritorno dei pellegrini sciiti è stato salutato dal principe Khalid al-Faisal, governatore della provincia, che ha dato loro un benvenuto speciale. I terribili fatti del 2015, in cui erano morti 769 pellegrini fra cui 136 iraniani, e la crisi dell’anno scorso, dopo l’esecuzione dell’imam Nimr al Nimr, sembrano quindi dimenticati.

L’Arabia Saudita e il dogma anti-sciita

Per decenni l’Arabia Saudita è stata la principale fonte del dogma anti-sciita dell’Islam sunnita, ma come ha notato un articolo dell’Economist, quest’anno sono arrivati segnali di distensione. Il pellegrinaggio è stato eccezionale per la sua “inclusività”, i pellegrini sono aumentati del 20% e non c’è stato nessun incidente. L’Iran ha anche ringraziato i sauditi. Potrebbe essere così in corso un cambiamento nelle relazioni tradizionalmente ostili tra l’Arabia Saudita, sunnita, e gli sciiti dell’Iran.

Le ostilità passate

In passato le relazioni tra le due potenze sono state contrassegnate da una forte ostilità. Il re Salman bin Abdelaziz e il suo giovane figlio principe ereditario, e ministro della difesa, Muhammad, hanno ostacolato l’influenza dell’Iran nella regione con ogni mezzo, anche con la forza. Hanno intrapreso una guerra in Yemen contro gli alleati Houthi dell’Iran; hanno rifiutato le richieste di risarcimento per i pellegrini iraniani uccisi nella calca della Mecca nel 2015; hanno decapitato l’anno successivo Nimr al Nimr, religioso sciita; hanno tagliato le relazioni diplomatiche con l’Iran, e hanno guidato una grande alleanza militare degli stati sunniti.

Cambiamento di strategia su tre fronti: Iraq, Siria e Yemen

Diversi i fronti in cui le relazioni tra i due acerrimi nemici sono cambiate. In Iraq l’Arabia Saudita ha ripreso i rapporti che erano stati tagliati 27 anni fa, nel 1990: ha riaperto per la prima volta i confini alle persone e ai beni. A giugno ha ospitato il primo ministro sciita dell’Iraq Haider al-Abadi; ha inviato il suo capo di Stato a Baghdad per firmare un accordo per la condivisione di informazioni, e ha portato delegazioni commerciali irachene a Riyad. A luglio a Jeddah è stato ricevuto uno dei più importanti religiosi sciiti del’Iraq, Muqtada al-Sadr, che in quell’incontro aveva dichiarato: ”Siamo molto contenti, potrebbe essere una svolta positiva nei rapporti tra sauditi e iracheni e speriamo che sia l'inizio della fine delle lotte settarie nella regione arabo-islamica”. Inoltre su questa linea che punta alla riconciliazione è prevista l’apertura di un consolato a Najaf, capitale dell’Islam sciita nell’Iraq del sud, e si vuole dare il via a voli diretti per i migliaia di sauditi sciiti che vorranno visitare il santuario dell’Imam Ali, dove i seguaci pensano sia sepolto il cugino e genero del Profeta.

Anche in Siria l’approccio è stato stravolto. I religiosi sauditi erano soliti incitare i mujaheddin sunniti contro gli eretici alawiti che governavano la Siria con il loro alleato iraniano. Ora l’Arabia Saudita ha modificato questa posizione, anche per evitare di essere accusata di sostenere il terrorismo. Il principe Muhammad ha così esortato i leader in esilio a Ryiad a scendere a compromessi con il regime del presidente Bashar al-Assad.

In Yemen i sauditi stanno ancora bombardando la parte settentrionale del paese, ma anche qui sono diventati più concilianti e predisposti a scendere ad un accordo, evidenzia l’Economist. I sauditi si sono persino scusati per un attacco aereo su Sana’a il 25 agosto che ha ucciso 14 civili. E nel regno c’è anche chi ha suggerito di riaprire l’aeroporto di Sana’a sotto l’egida dell’Onu.

Stop alla linea dura: le conseguenze

Da più parti nel regno arrivano segnali di riavvicinamento e dichiarazioni di distensione tra i due paesi che si contendono l’egemonia in Medio Oriente. Una grande alleanza di tutto il mondo arabo islamico, senza alcuna divisione religiosa tra sunniti e sciiti, potrebbe diventare congeniale per contrastare l’ingerenza di potenze straniere in Medio Oriente. Creare così un blocco unico, più forte e capace di preservare l’autonomia del popolo arabo. Porre fine alle guerre fratricide nella regione e inaugurare un periodo si pace e più avveduto in politica estera. Alcuni osservatori prevedono un grande patto, secondo cui, i sauditi potrebbero riconoscere la preminenza dell’Iran nel nord del Medio Oriente, inclusa la Siria, in cambio di mano libera negli stati del Golfo e nella penisola arabica. Molte sono le dichiarazioni in linea su questa posizione. L’Economist riporta l’opinione di un ministro saudita che ha detto appunto che le linea dura sunnita e la linea dura sciita non costruiscono nazioni o società. E ancora il ministro degli esteri saudita Adel al-Jubayr, ha dichiarato che il settarismo deve diminuire. E alcuni funzionari sauditi dicono di voler “corteggiare” gli alleati arabi dell’Iran, mettendo così l’etnia al di sopra della religione.

Un compromesso difficile

Ma all’interno della casa regnante saudita ci sono diverse posizioni, anche più scettiche. L’accordo è difficile per entrambe le parti. E molta diffidenza separa le due potenze. Al Sadr infatti è stato criticato quando ha incontrato il principe Muhammad, perché è accaduto quando le forze saudite spianavano Awamiya, una cittadina sciita in Arabia Saudita che si era sollevata per l’esecuzione del religioso sciita al Nimr. E alcuni sauditi sono rimasti di stucco quando il principe si è congratulato con al-Abadi, il primo ministro iracheno, per aver sconfitto lo stato islamico a Mosul, dopo che aveva distrutto una delle città più belle dell’Islam sunnita. Anche il ministro al-Jubayr respinge l’ipotesi del riavvicinamento come “ridicola”, e ha dichiarato che proprio quando si sentono parole melliflue da parte del Presidente dell’Iran Rohani, si assiste subito dopo a qualche azione aggressiva dei suoi pasdaran. Non ci resta che aspettare. Il colpo di scena dell’alleanza tra sciiti e sunniti scombinerebbe tutti i giochi sia interni che internazionali.

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