La sedia di Erdogan e le colpe dell'Europa

Non si placano le polemiche sulla vicenda della sedia che il sultano di Turchia, Recepp Tayyip Erdogan, ha volutamente fatto mancare ad Ursula Von der Leyen nella visita ufficiale dei vertici di Bruxelles ad Istanbul. Le proteste arrivano da ogni paese e da ogni partito. Ma forse sarebbe anche il caso che l'Europa faccia un leggero esame di coscienza.

Questo gesto infatti ha due genitori: il primo è l'arroganza del leader turco. Un uomo senza scrupoli, che gestisce il suo paese come un regno facendo il bello ed il cattivo tempo. Ma questo è cosa nota a tutti, da anni.

Il secondo purtroppo è proprio la debolezza di Bruxelles che nei suoi rapporti con la Turchia ha forse dato il peggio di se.

Come dimenticare infatti il ricatto sottile sui migranti che costa all'Europa miliardi di euro ogni anno. La minaccia velata di Erdogan è nota: «o mi pagate o io apro la rotta balcanica dei migranti, milioni di persone provenienti da Siria e paesi vicini che invaderanno l'Europa». E noi abbiamo pagato, paghiamo e, purtroppo, pagheremo.

E come dimenticare chi da anni, anche nel Parlamento Europeo, malgrado tutto questo, preme per un ingresso di Ankara nella Ue, malgrado Erdogan, i suoi ricatti, il suo protocollo.

Una debolezza totale quella di Bruxelles evidente anche per quanto accaduto in Libia dove avremmo dovuto essere protagonisti decisivi ed invece abbiamo lasciato campo libero alla Turchia che ha esteso sulla regione la sua lunga mano. Ed ora dobbiamo recuperare (come dimostra il primo viaggio estero del premier Draghi, guarda caso proprio a Tripoli pochi giorni fa).

Insomma_: abbiamo concesso, abbiamo detto sempre di si, abbiamo guardato altrove, abbiamo persino pagato. Ed ora ci lamentiamo per una sedia, un gesto di violenza e maleducazione che è una sfida.

Erdogan lo si ferma non con le parole ma con i fatti. Vedremo nei prossimi giorni se l'Europa per l'ennesima volta abbasserà la testa o se avrà il coraggio di rialzarla e far capire al leader turco come stanno davvero le cose.

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