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November 30 2012
Quanto ci vuole a votare un decreto legge? Alle volte molto, altre meno. Dipende.
E infatti, come canta Jarabe De Palo, "depende, da che depende..da che punto guardi il mondo tutto dipende"
Da che dipende? Dall'importanza che la casta politica attribuisce al provvedimento. Se si tratta di fare una leggina per aumentare i rimborsi ai partiti, o cambiare i termini della prescrizione nei processi, tempo un giorno e il decreto diventa legge; viceversa se si tratta di tagliare i costi della politica, tutto diventa terribilmente complicato.
Del testo, così come il cappone non festeggia l'arrivo del Natale, non si può chiedere alla nostra classe politica di tagliarsi alcuni privilegi. Poco importa che la disoccupazione superi l'11 % e che le piazze ribollono di contestatori; i nostri deputati hanno deciso di rinviare nuovamente il decreto sui costi della politica. Ci hanno provato in tutti i modi ad affossarlo: prima con 370 emendamenti e oggi con la scusa del treno.
Un improvviso sciopero delle ferrovie avrebbe impedito ai nostri eroi di votare la fiducia e quindi, punto e a capo, il tutto slitta a martedì prossimo.
Il venerdì e' sempre un giorno tragico per il parlamentare, per questo si cerca sempre di fissare le votazioni al massimo entrò le 13 del venerdì, altrimenti chissà a che ora si torna casa! La settimana lavorativa (o forse sarebbe meglio definirla "settimana lavativa") inizia in genere il martedì e si conclude il venerdì all'ora di pranzo. Questo nella maggior parte dei casi. Quando poi si tratta di votare su argomenti particolarmente fastidiosi, scatta la scusa del giorno.
Quanto ci costano i capricci dei nostri politici? Quanto costa allo Stato il rinvio di un decreto come quello in questione? Al di la della stupidità di questi continui rinvii, sarebbe opportuno che il ragioniere generale dello Stato facesse un conto di quanti soldi continuiamo a buttare ogni giorno a causa di questi stop and go quotidiani.
Una volta fatto il conto, il dott. Mario Canzio e' pregato di notificare le cifre ai due rami del parlamento e di applicare subito un prelievo dalla busta paga di ogni deputato per recuperare i soldi buttati dalla finestra.
Del resto sul lavoro, in genere, funziona così. Chi sbaglia paga. Perché l'operaio, che a causa di uno sciopero dei treni non si presenta al lavoro, perde un giorno di salario e il Senatore della Repubblica no?
Beppe Grillo in tanto, a leggere queste squallide notizie dal Palazzo, si frega le mani e prepara la sua prossima vittoria.