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Serbia: il genocidio negato dall'Aja

Questi pensieri li scrivo oggi perché ho dovuto metabolizzarli nella rabbia. Scusate, ci ho messo un po’… Credevo che i Giorni della Memoria servissero a poco. E invece servono, forse. Perché noi umani abbiamo la predisposizione a dimenticare il dolore, l’orrore, la follia attraverso i quali siamo passati in anni che paiono lontani mentre idealmente (e concretamente) non lo sono.

La guerra nella ex Jugoslavia è ancora viva, è durata dieci anni ed è stata una guerra genocida, una guerra che aveva come obiettivo, inizialmente soprattutto da parte della Serbia e dei serbi dell’ex Jugoslavia, di azzerare, distruggere, annientare, cacciare le popolazioni di etnia diversa: croati e musulmani bosniaci. Non era successo nulla di così spaventoso nel cuore dell’Europa dopo la Seconda guerra mondiale e la Shoah. Anche i croati, e in minor misura i musulmani, si sono poi macchiati di crimini di guerra e contro l’umanità. Ma non c’è dubbio, per chiunque sia stato sul campo come volontario o giornalista, per chiunque abbia condiviso il terrore dei civili sotto le bombe, lo sgomento persino fatalista di trovarsi nel mirino dei cecchini e degli artiglieri, per chiunque abbia conosciuto, studiato e sperimentato l’affermarsi criminale dello sciovinismo nell’Accademia della Scienza serba e ai vertici della politica con Slobodan Milosevic, che l’intellighenzia, i militari e i politici, col consenso della maggioranza della popolazione, in quella particolare fase di disintegrazione della Federazione jugoslava si proposero di cancellare i simboli, le tradizioni, i corpi e la carne del nemico.

E nemici erano i croatiin quanto croati, i musulmani in quanto musulmani (bosniaci). La forza, almeno all’inizio del conflitto, diede ai serbi la possibilità di perseguire quella che fu giustamente definita “bonifica etnica”, e vendicarsi dei crimini degli ustasha croati di mezzo secolo prima. Cos’altro è la bonifica etnica se non una forma di genocidio?

Ebbene, la Corte penale dell’Aja per la ex Jugoslavia ha sancito che non ci fu genocidio da parte serba, che episodi come la mattanza di Vukovar, cittadina della Croazia vicino a Osjek per mesi assediata, bombardata e infine rasa al suolo in quanto abitata in maggioranza da croati, ospedali e bambini inclusi come testimoniato fra gli altri dagli eroici medici che da allora non dormono più, rimandano a responsabilità individuali di qualche capo para-militare. Nulla di più.

Questa versione minimalista è falsa, ipocrita, canagliesca.

Ricordo benissimo un luminare di diritto internazionale, Frits Kalshoven, primo incaricato a raccogliere documenti dei crimini di guerra commessi soprattutto in Bosnia dai serbi, quando ancora non esisteva il Tribunale internazionale ad hoc, nei corridoi della sede ONU a Ginevra costretto a chiudersi nel suo ufficetto per non dover incrociare Radovan Karadzic, lo psichiatra genocida serbo di Bosnia oggi sotto processo, all’epoca accolto e riverito come un leader politico dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale.

La sentenza del Tribunale penale per l’ex Jugoslavia che nega il genocidio perché “atti di pulizia etnica” possono far parte di un piano genocida “solo se c’è l’intenzione di distruggere fisicamente il gruppo che ne è bersaglio”, come dice il presidente slovacco del Tribunale, e non ci sarebbero prove sufficienti che questa fosse l’intenzione pianificata a Belgrado, è un insulto alla verità, una negazione della storia, un oltraggio alle vittime che furono uccise, stuprate (ricordate la dizione “stupro etnico”?), espulse dalle case: donne, bambini, vecchi scempiati e trucidati perché dopo un’esistenza di sacrifici non avevano avuto il cuore di abbandonare i loro orti e le loro stalle.

Un insulto e una vergogna. Sui quotidiani vedo solo pochissimi commenti. Siamo cinici e smemorati. Vedo commenti che giustificano il verdetto in quanto è trascorso quasi un quarto di secolo dai fatti, ovvero quindici anni dall’inizio del processo. Lo giustificano perché ormai la Croazia fa parte dell’Unione europea e la Serbia si candida a entrarvi, quindi non bisogna turbare questa evoluzione. Vedo soltanto un commento del “Foglio” che prende (vivaddio) le distanze da quel responso agghiacciante e cita John Rosenthal della Policy Review: “La Corte rappresenta la negazione dei princìpi classici del diritto internazionale dell’ONU. È un tribunale canaglia”.

Non c’è altro da aggiungere. L’ONU si era già distinto a Srebrenica per aver lasciato prelevare dalle milizie di tagliagole serbi ben 300 musulmani che si erano illusi di trovare rifugio sotto le bandiere blu e furono trucidati senza pietà (com’era prevedibile). Il Palazzo di vetro come uno scudo di cartone insanguinato. L’onta si ripete. La storia torna sempre sulla scena del delitto. L’umanità non migliora e non si emenda. Ma con quale autorità morale pretendiamo oggi di condannare la bonifica etno-religiosa dell’Is, del Califfato Nero, in Medio Oriente e Africa del Nord?
Mi vergogno di essere europeo.  

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