Chi è Andrea Pizzocolo, il predatore di prostitute condannato all'egastolo

È stato condannato all’ ergastolo Andrea Pizzocolo, accusato dell’omicidio della escort di 18 anni Lavinia Simona Aiolaiei, strangolata nel settembre 2013 in un motel a Olgiate Olona (Varese). I giudici della Corte d’Assise di Busto Arsizio hanno anche riconosciuto un risarcimento complessivo di oltre 235 mila euro per i familiari della donna (la madre, la sorella, il fratellino di un anno e mezzo e la sorellina di 7 anni) parti civili nel processo. Il collegio giudicante, presieduto da Renata Peregallo, che ha escluso l’aggravante della crudeltà, oltre all’ ergastolo ha disposto un anno di isolamento diurno e l’ interdizione perpetua dai pubblici uffici.


IL REPORTAGE DI PANORAMA DEL 2013

Abitava a 154 passi dall’asilo nido, a due minuti dalla chiesa, da ragazzo faceva l’educatore, da cinque anni aveva una figlia. Era il Male. Ma il Male è sempre anonimo, riservato, silenzioso. «Entrava dal garage, non salutava nessuno, i primi tempi non pagava il condominio, negli ultimi anni regolarmente» dice la vicina di casa ad Arese, 19 mila abitanti, 300 giornali venduti in edicola, la raccolta differenziata il mercoledì, i pensionati in piazza 11 Settembre accompagnati dalle badanti marocchine o romene.

E «guardava la televisione come ogni venerdì» l’anziano Giuseppe, mentre il suo coinquilino Andrea Pizzocolo, che era il Male, andava a strangolare nel lussuoso hotel Moom di Olgiate Olona, vicino a Busto Arsizio, la diciottenne Lavinia Simona Aloiei, che si faceva chiamare Dora sul sito Bacheca e che vendeva il suo corpo per 500 euro a notte.

Dormiva e pensava a suo figlio in ospedale invece la signora Hidalgo, che abitava nello stesso piano di Pizzocolo, alle 4 del mattino di venerdì 6 settembre, quando il suo vicino di piano trasportava il cadavere di Lavinia da Olgiate al motel Silk di Lodi e ne abusava registrando tutto su una pellicola.

E però il Male, come scriveva Truman Capote, è sempre «quaggiù» e si nasconde in questi paesi che sembrano tutti uguali: le staccionate bianche, le siepi curate, i tigli al bordo  della strada, le madri che passeggiano spingendo le carrozzine, perché il delitto più atroce è sempre uno spietato ordine lontano dalla città.

Pizzocolo era il cineoperatore di Satana, ma adesso non lo conosce nessuno, neppure la sua compagna venuta dal Brasile: «Sono sconvolta. È stato così affettuoso con me. È grazie a lui che sono cittadina italiana. Mi ha pagato il biglietto per venire in Italia. Mai una violenza. Mi ha aiutato tanto, mi portava a Mirabilandia…». E non lo conosceva neppure la madre pensionata, 60 anni, che ogni fine settimana veniva a trovarlo insieme al marito, poi scomparso 4 mesi fa: «Era così calmo, non voleva che gridassi. Se n’è andato di casa che aveva vent’anni perché voleva essere autonomo».

Ma il ragionier Andrea Pizzocolo era il Male e come esige il Male si era creato perfino un doppio sé: nascondeva boccette di etere a casa, come il Dr Jekyll di Robert Louis Stevenson, con cui stordiva le donne, ha lasciato cento testimonianze, cento film da un’ora e mezzo ciascuno, forse le molliche di Pollicino di omicidi seriali o forse di un commercio di lubricità da distribuire ad altri «appassionati».

Sicuramente la perversione oltre qualsiasi confine: ha avuto un amplesso con il cadavere di Lavinia, lo ha registrato e catalogato nella sua videoteca con quest’etichetta: «Lavinia. Durata: un’ora e trenta. Montaggio: Andrea Pizzocolo». Ma era Francesco Giorgio Galparoli, mister Galparoli, e non Andrea Pizzocolo, l’uomo che la notte del 6 settembre  si è presentato con un documento d’identità falso al motel che si affaccia sulla tangenziale di Busto Arsizio.

«Neppure l’immaginazione avrebbe saputo descrivere tale efferatezza, crudeltà, non esiste letteratura criminale…» dice il procuratore di Lodi, Vincenzo Russo, da 43 anni in magistratura, il volto color ambra, i capelli g rigi, radi, che per la prima volta nella sua vita ha visto la morte registrata, lo stupro di un cadavere, la necrofilia. Ma Pizzocolo è stato tradito da un semplice asciugamano sul corpo lasciato bene in vista su un campo a fianco di un ruscello e scoperto dopo poche ore. «Non ha neppure pensato di far perdere le tracce, come se avesse fretta di fuggire e alla fine ha perso la lucidità del criminale» nota Russo, che scopre facilmente la vera identità di Galparoli la sera stessa con una semplice telefonata al motel Silk.

Era tornato il ragionier Pizzocolo, ragioniere contabile della multinazionale Hydronic di Pero che entrava in azienda alle 10 di mattina e ne usciva alle 21, che aveva le password dei conti e che alla compagna diceva: «È come se fossi l’amministratore delegato». Ma a Pero gli operai non hanno tempo di pensare di aver lavorato a fianco del Male, loro che sono rimasti a presidiare questa azienda che è fuggita durante le ferie lasciandoli senza lavoro e cassintegrati.

Il cancello è sbarrato e le uniche porte aperte sono quelle del vicino cimitero. «Con gli operai non parlava mai, stava sempre nel suo ufficio, preferiva prendere il caffè dalle macchinette, lo vedevamo solo quando chiedevamo dei prestiti e lui compilava i moduli. L’unica cosa che ho pensato quando lo hanno arrestato era il bonifico, speravo che lo avesse già fatto» dice Giuseppe, iscritto alla Fiom, vittima della delocalizzazione dell’Hydronic.

Pizzocolo vestiva con jeans larghissimi, maglioni neri anche d’estate, aveva una copiosa coda di cavallo ingrigita, aveva 41 anni e per il casellario giudiziario era incensurato. Non aveva amici al lavoro, frequentava pochi bar, comprava le sigarette in autogrill, fumava in terrazzo e non pranzava con i colleghi neppure qui a Gallarate, dove la Hydronic ha trasferito otto impiegati, colleghi di Pizzocolo, che tacciono, che non rispondono al telefono neanche ai metalmeccanici che sono rimasti a Pero.

«In 10 giorni, da quando l’Hydronic si è trasferita a Gallarate, l’ho visto solo due volte» racconta Cristina che ha un ristorante a pochi metri dalla sede dell’Hydronic, dove vanno a mangiare gli impiegati, ma non Pizzocolo, come se il Male non si nutrisse. Si nascondeva dietro questo palazzo che sembra un Pirellone in miniatura, tutto vetri opachi, protetto dalla scortesia degli impiegati, a pochi metri dallo svincolo autostradale che era per Pizzocolo un unico scenario di lussuria, sempre la stessa geografia, quella dell’orgia, del supplizio, dell’agonia.

Lo conoscevano tutti i proprietari di motel della Lombardia, negli ultimi mesi quattro volte registrato con il nome Galparoli, e lo conosceva come cliente la proprietaria del motel Silk, infrattato dietro a un centro commerciale, che affitta camere a 85 euro a notte ad amanti fedifraghi, uomini in fuga, camionisti, perché spesso il motel è sesso, solitudine, collera, follia, un letto dove perdere qualsiasi identità: «Si è presentato alle 5 di mattina del 6 settembre. Si è registrato con il suo vero nome: Pizzocolo. Dal 2011 è venuto qui quattro volte. Ma era un cliente abituale di altri motel della Paullese».

Che per Pizzocolo non era solo una strada, ma la pattumiera dove scavava come un randagio, la riserva dove ingoiava le prostitute come cibo, cannibale di laidità da portarsi a casa quando spediva la compagna lontano in Brasile. «Lei era stata 6 mesi lontana da Arese, era tornata da poco» dice un’amica della donna che porta la figlia Stella a giocare con la figlia di Pizzocolo.

Ma il suo non era un appartamento, non era la villa dell’amore estremo come quello del film Killing me softly di Chen Kaige, ma il castello di Eyes wide shut di Stanley Kubrik, l’accoppiamento consumato ogni notte con una donna diversa, ripreso con maniacalità e grandangolo. Proprio come faceva nelle camere del motel Silk trasformate ogni volta in un set cinematografico, un teatro della crudeltà con cinque telecamere installate negli angoli della stanza, una cinepresa perfino nell’orologio da polso, tutta attrezzatura che Pizzocolo celava nel portabagagli del suo suv inaccessibile alla compagna che aveva spedito a Ravenna il giorno prima dell’omicidio.

«Lo chiamano gioco erotico, bondage, ma lui aveva intenzione di uccidere quella ragazza» dice il capo della squadra mobile di Lodi, Alessandro Battista, che in casa ha trovato 87 fascette stringifili zigrinate, due di queste usate per soffocare Lavinia, frustini, borchie, falli artificiali, bambole gonfiabili, e poi 500 gigabyte di materiale, 400 filmati, 30 file dedicati a ragazze quasi tutte bianche, cinesi e romene.

È notte in questura, l’orologio segna l’una. Pizzocolo viene fatto sedere. «Quando l’hai incontrata?» gli chiede Battista, originario di Frosinone, poliziotto da 28 anni, ispettore per 15 anni a Milano e prima a Brescia. Lo sta interrogando alla presenza del procuratore Russo. «L’ho conosciuta tramite un sito, ma ci eravamo già visti un’altra volta» risponde Pizzocolo. Battista chiede dei soldi: «Quanto le hai dato?». «Eravamo d’accordo per 500 euro. L’ha accompagnata un uomo. Dopo che l’ho uccisa mi sono ripreso i soldi. Era un gioco erotico».

«L’hai uccisa con intenzione, avevi nascosto le due fascette sotto il cuscino, non mentire» incalza Battista, che ha visto il video. «Era un gioco erotico. Ho cercato di allargare la stretta ma non ci sono riuscito, anzi le cinghie si sono strette ancora di più». «Sapeva la ragazza di essere ripresa?» chiede Russo. Ma Pizzocolo non risponde, adesso sembra intontito. Ma è pur sempre lucido: assomiglia solo a un automobilista che ha investito un uomo. E risponde in un italiano chiarissimo, quasi forbito. Nessuna ragazza in realtà sapeva di essere filmata. Poi il procuratore: «Hai stretto la fascetta tenacemente e pervicacemente, mentre la ragazza non poteva vederti. Si vede dal video che ha tentato di liberarsi dalla tua morsa». Ma «era un gioco erotico» continua a ripetere Pizzocolo. «Non hai tentato minimamente di allentare la presa. Hai preso prima una fascetta e poi un’altra e l’hai soffocata, sussultava e non hai fatto nulla, in maniera empia, disumana, brutale» ribatte Rossi.

Pizzocolo tace, è solo un po’ rosso in viso. «Dove hai preso il documento falso?» gli chiede Battista. «L’ho trovato». Come fai a trovarlo? «L’ho trovato». In realtà era il documento di un conoscente a cui l’aveva sottratto e che aveva falsificato mettendoci la sua foto, stessa altezza e peso. «Perché l’hai portata in un altro motel?» continua Russo. Pizzocolo: «Volevo riposarmi. Così ho deciso di andare al Silk. Ricordavo che si prestava a portarla all’interno senza essere visti». Ma perché usare quell’asciugamano? «Ho notato che perdeva sangue dalla bocca o dal naso. L’ho utilizzato per pulirla. Poi l’ho appoggiata sul letto e ormai morta ho consumato un rapporto sessuale. Sì, ho ripreso anche questo». «Quanto sei rimasto al Silk?» chiede Battista. «Dopo averla ripresa, ho spostato il cadavere su un mobile e mi sono addormentato. Mi sono svegliato alle 15 e ho messo la donna nel portabagagli della mia auto. Dovevo andare». «Perché avevi fretta?». «Avevo necessità di tornare perché erano tornate dalla vacanza mia figlia e la mia compagna. Mi avevano chiamato. Nel primo punto utile per fermare l’auto ho abbandonato il cadavere completamente nudo, con l’asciugamani sul viso». «Hai ucciso altre ragazze, vendi questi video?» sono le ultime domande di Battista, che ricorda un caso simile di una ragazza soffocata in via Jenner a Milano nel gennaio del 2012, nonostante le modalità diverse.

«Non voglio rispondere» è stata la risposta. Ma Pizzocolo sa che è tutto in quei nastri. Lui è il Male che faceva di conto e che teneva il domicilio nella serena Arese, dove nessuno conosce nessuno e le case sono condomini con nomi caraibici o con numeri e dove un appartamento costa 400 mila euro. Da Arese il Male ha percorso 180 chilometri: Arese Gallarate- Busto Arsizio-Lodi-Arese. Poteva essere il pendolare in coda sull’autostrada. O l’uomo che usciva dall’autogrill. O anche il padre che teneva la figlia per mano. Era il suv che non si è fermato al semaforo. Era il cliente che stava comprando le sigarette.

Oggi però il Male è stato catturato. In via dei Gelsi, dove abitava, adesso c’è solo una vecchia che parla da sola: «C’è qualcosa nell’aria, non sentite? Ci deve essere qualcosa nell’aria...».

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