Calcio
January 06 2022
Davanti all'ipotesi di fermare tutto, che i falchi hanno spinto fino alla cabina di regia del Governo senza ottenere soddisfazione dal premier Draghi, costretta dall'emergenza di una ripresa condizionata da contagi e gare cancellate dalle ASL, la Serie A ha scelto la linea del contropiede. Non più una posizione passiva e di attesa degli eventi, ma l'attacco per provare a ribaltare l'attuale situazione in attesa che la curva della quarta ondata ripieghi e si possa tornare a respirare lo stesso ottimismo dello scorso autunno.
Sono ore sportivamente drammatiche quelle che sta vivendo il calcio italiano. La sensazione sgradevole di essere accerchiato è tornata a farsi largo, soprattutto ascoltando gli spifferi provenienti da Roma dove, tra le misure per dare una risposta all'esplosione dilagante della variante Omicron, c'è chi ha anche ipotizzato di fermare i campionati. Una soluzione forse non sgradita a parte della stessa Serie A, ripetendo lo stesso schema della primavera del lockdown quando c'era chi avrebbe preferito non ripartire temendo la retrocessione.
I vertici della Serie A hanno, però, ben chiaro in testa lo scenario: non esiste alcuna possibilità di stoppare il torneo per qualche settimana (c'era chi ipotizzava addirittura fino a febbraio) e di portarlo poi a termine entro la fine di maggio, visto che giugno è occupato dalla folle programmazione della Nations League by Uefa che costringerà le nazionali a 4 partite in due settimane più l'amichevole con l'Argentina (altra invenzione di Ceferin) che porterà gli azzurri a una sorta di lavori forzati.
Ecco perché la soluzione dello stop, nemmeno in forma preventiva e neanche limitata alle singole gare, non è stata mai realmente presa in considerazione da chi comanda il pallone. Anzi. Le riunioni febbrili che si sono succedute mentre le ASL ridisegnavano il campionato, con scelte spesso illogiche e incoerenti l'una rispetto all'altra, hanno partorito un attacco durissimo a tutto il sistema con la minaccia di arrivare fino ai ricorsi al TAR in caso di mancata applicazione ai calciatori delle norme più leggere varate (per tutti) dallo stesso Ministero della Salute.
I presidenti del calcio non vogliono più quarantene per i contatti e sono disposti ad andare fino in fondo. Rifiutano la logica che siano singole ASL, a schema libero, a decidere le sorti delle partite mettendo a rischio tutto il sistema e chiedono che le competenze di queste siano limitate. Difficile ottenere tanto in un momento così drammatico dal punto di vista dei contagi, ma la contropartita messa sul tavolo sono un nuovo protocollo da far approvare al CTS e alla politica che si occupa di salute - scavalcando così le autorità locali - e, se possibile, una stretta definitiva sui vaccini nel mondo del calcio.
La quota di No Vax è limitata a poche unità nelle squadre della Serie A, ma l'emergenza della Befana ha mostrato un'altra debolezza e cioè una certa rilassatezza nell'affrontare la terza dose. Le parole dell'amministratore delegato dell'Inter, Beppe Marotta, hanno tracciato la linea dopo l'ennesimo vertice di Lega: "Nell'ambito dello sport deve essere reso obbligatorio il terzo vaccino, che copre il rischio di subire dei danni gravi dal virus. In questo caso il rischio è minimo e non è più il caso di fare la quarantena. L'andamento del campionato avrebbe molta più fluidità".
Si tratterebbe di un modello in grado di garantire la prosecuzione della stagione con un minimo di regolarità anche tecnica. Obiettivo ambizioso, visti i chiari di luna, ma che rappresenta l'argine contro le spinte di chi vuole fermare tutto, dentro e fuori il sistema. Sotto traccia il calcio cercherà la mediazione mettendo in campo le sue forze migliori, compresa la Federcalcio che in questi mesi ha spesso ottenuto udienza dalla politica. Ma la partita è così delicata e definitiva che i club hanno preferito presentarsi con la mano armata piuttosto che con un ramoscello d'ulivo.