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March 20 2019
Nicolò Zaniolo ce l'ha fatta e come lui altri nove. Non di più. Dieci su 443 che significa due su cento. Che diventano sei su cento se si allarga il panorama alla Serie B. Sono i calciatori nati nel 1999 che hanno concluso l'anno scorso la loro esperienza nei settori giovanili dei club italiani e che sono riusciti a mettere piede nel calcio dei grandi. Una minoranza. Troppo pochi per giustificare lo sforzo fatto per crescerli.
Prestiti, panchine e carriere che si perdono nel tortuoso giro della provincia: così il calcio italiano brucia (o rischia di bruciare) la sua meglio gioventù. Numeri e storie impietose che emergono da un report molto dettagliato portato sul tavolo di un incontro organizzato da Lega Pro e Juventus all'Allianz Stadium, presenti i presidenti Gravina, Agnelli e Ghirelli, per ragionare di seconde squadre un anno dopo la loro introduzione e col rischio che il progetto si concluda per mancanza di adesioni.
"Partito monco" l'ha definito il presidente della Figc Gabriele Gravina: "Un atto di forza senza alcuna visione, un errore, un lancio cosmetico all'interno di un percorso politico di vanto per qualcuno". Fatto in fretta e furia con i club messi spalle al muro e ritiratisi in buon ordine con l'unica eccezione dei bianconeri che stanno faticando con la loro Juventus Under 23 nei campi del girone A della Serie C. Senza grandi risultati, ma con la forza di una scelta che ora costringe tutti a decidere da che parte stare.
Eccoli i numeri che fotografano lo stato d'arte del calcio italiano. Prendendo come riferimento i giovani calciatori classe 1999, quella che nel giugno scorso ha formalmente concluso il suo percorso di crescita nel settore giovanile, solo 10 su 443 hanno trovato posto in Serie A e 18 in Serie B. Di questi 28 (che rappresentano il 6,3% del totale) solo 11 hanno accumulato almeno 10 presenze (2%).
Gli altri sono finiti nel giro della Serie C (102 su 443 ovvero il 23%) o all'estero (20 che equivale al 4,5%) e nella maggioranza si sono persi tra leghe minori, fuori quota e addio al sogno di diventare professionisti. Un destino amaro condiviso da due su tre. Dopo anni di sacrifici e progetti.
Non si tratta solo dell'effetto di una selezione fisiologica, ma del prodotto di un sistema che non ha previsto fin qui la fase di cuscinetto tra il calcio dei piccoli e quello dei grandi.
L'esito finale è che la Serie A continua ad essere nelle retrovie per minutaggio concesso agli under 21 (9,7% contro il 14 di Francia e Germania, per esempio), l'età media rimane alta (26,9 anni in questa stagione) e ogni finestra di mercato si trasforma in una corsa contro il tempo per piazzare prestiti e stringere accordi che consentano a chi ha investito nella formazione di un talento promettente di non perderne di vista l'ultima fase del percorso di crescita.
In mancanza dello sbocco naturale in uscita dai settori giovanili, ecco l'esplosione del fenomeno dei prestiti. In Serie A in questa stagione ce ne sono 440, numero record rispetto al resto d'Europa. I club di Premier League ne hanno dati 129 (tre volte e mezzo in meno di quelli italiani), nella Liga sono 95 e scendono a 72 in Ligue1, 48 in Bundesliga e solo 29 in Eredivisie, il campionato olandese che è uno dei modelli di riferimento su come si possano crescere e valorizzare giovani talenti.
La Fifa sta per normare il mercato dei prestiti riducendolo drasticamente. La Figc progetta di cancellare la 'recompra'. Tutti strumenti utilizzati dalle società per fare plusvalenze e controllare il mercato degli emergenti.
Servono i prestiti alla carriera di un giovane? Di sicuro svezzano i ragazzi, ma se si prende come esempio la Juventus emerge che nella stagione attuale (dati fino a febbraio) meno della metà ha giocato più del 50% dei minuti disponibili e l'anno scorso il dato scendeva al 34%. Significa che una squadra che accoglie un prestito non sempre è stimolata a farlo giocare con continuità perchè in fondo sta dando valore a un patrimonio di un altro club. In Serie C un terzo dei giocatori (439 su 1.528) è in prestito e di questi 340 sono Under 21. L'età da seconda squadra.
Un anno fa il bando che apriva alle seconde squadre, dopo dibattiti eterni, è arrivato quasi fuori tempo massimo. La Juventus ha aderito, le altre si sono fatte da parte. E oggi? Basterebbe guardare all'estero per capire che gli errori nel lancio non devono cancellare il programma: Spagna, Francia, Germania e Olanda (solo per restare alle leghe top) le hanno e funzionano a meraviglia. In Inghilterra esiste un campionato Under 23. In Belgio un torneo per le riserve. Solo in Bosnia, Islanda, Kosovo, Lettonia, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Serbia e Slovenia non risulta nulla.
Il famoso cuscinetto, insomma, serve. Eccome. Ai club per non disperdere loro patrimoni e al sistema calcio dei paesi che riesce ad accelerare il lancio dei giovani verso il sistema professionistico che conta. Un esempio? La Spagna mondiale del 2010 aveva 19 giocatori su 23 usciti dall'esperienza delle seconde squadre, diventati 20 all'Europeo del 2012. La Germania iridata nel 2014 ben 13 su 23 e la Francia campione in Russia la metà. In Italia l'Under 20 - la nazionale che deve qualificarsi per le Olimpiadi - rimane un ibrido non sempre vincente e si perde via.
Ultima immagine per spiegare la differenza: la storia professionale di Morata e Spinazzola. Il primo uscito dal vivaio del Real Madrid non ancora maggiorenne è arrivato stabilmente tra i grandi dopo 4 stagioni tra Castilla (la squadra B) e Real Madrid accumulando 136 presenze di cui 52 con i blancos e nel 2013, all'età di 21 anni, ha vinto l'Europeo di categoria con già oltre cento partite da pro in carriera.
Spinazzola ci ha messo 6 anni tra prestiti e giri in provincia (98 presenze in tutto) prima di tornare alla casa madre che aveva lasciato uscendo dal settore giovanile a 19 anni e 4 mesi, quasi due più tardi rispetto allo spagnolo. E può dirsi fortunato, oltre che bravo, perché ce l'ha fatta. Ma il suo esordio in prima squadra nel club di formazione è arrivato che di anni ne aveva 25 e 10 mesi contro i 18 di Morata.