Televisione
January 28 2014
Scrive su Twitter una giovane italo-indiana: «Ma #BraccialettiRossi parla di ragazzi che ce la fanno, vero? Non abbiamo bisogno di ulteriori sconfitte». Risposta del produttore Carlo Degli Esposti (Palomar), già inventore di Montalbano in tv e Twitter-compulsivo: «Ce la fanno, ce la fanno! La vita riserva tante incognite, ma ce la fanno, ce la faremo! #fiducianelfutur».
Non è ancora in onda, Braccialetti rossi, la nuova serie di Rai 1 al via dal 26 gennaio in prima serata in sei puntate, ma impazza sui social già da mesi. Grazie anche a una sapiente strategia di social media marketing (piccola rivoluzione per la Rai, i cui sforzi in questo senso erano stati fin qui molto modesti) con app per smartphone e tablet, pagine ufficiali su Facebook, Twitter e Instagram per lanciare i personaggi, dare anticipazioni e interagire con i fan, e perfino un gioco a premi. Coprodotta dalla Rai Fiction di Tinni Andreatta, distribuita dalla milanese Funwood Media e basata sul format catalano campione d’incassi Pulseras rojas (più di 4 mila i giovani accorsi all’Auditori de Barcelona per la presentazione della seconda serie, un anno fa), è la storia di sei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni, molti dei quali in lotta con gravi malattie, che si conoscono in un ospedale pediatrico e decidono di fondare un gruppo.
I braccialetti rossi, appunto: dal nome dei cinturini con nome e gruppo sanguigno che un paziente riceve prima di essere operato.
Un romanzo tv di formazione, una sorta di Ragazzi della via Pál dei nostri giorni, una grande storia d’amicizia e di coraggio. Steven Spielberg ne è rimasto folgorato e ne ha comprato i diritti per gli Usa, dove la serie sarà prodotta da Fox col titolo The red band society. Fondamentale, nella versione italiana, anche la sponda musicale. Con una colonna sonora di brani originali composti da Niccolò Agliardi (tra cui lo scaricatissimo Io non ho finito) e canzoni celebri di Laura Pausini, Tiziano Ferro e Vasco Rossi.
E, dopo aver dominato le classifiche spagnole, è appena uscito anche da noi, per Salani Editore, Corriere della Sera e Rai Eri, il romanzo Braccialetti rossi. Il mondo giallo, toccante autobiografia di Albert Espinosa, colpito dal cancro a 14 anni, cui è ispirata la serie originale. Ma se l’intento educativo, trasmettere speranza e valori positivi in un momento molto duro per l’Italia, è evidente, la serie è tutt’altro che edulcorata. Nella prima puntata, Valentino, malato di tumore alla tibia, subisce un’amputazione. «Ma di che ti devi operare?» gli chiede Leo, leader del gruppo e suo compagno di stanza. «Devono tagliarmi la gamba» risponde lui. E aggiunge: «Strano, ogni volta che lo dico nessuno apre più bocca». L’altro replica: «Be’, questo è niente rispetto a come restano quando vedono che la gamba ti manca proprio». E solleva le coperte mostrando la propria, di amputazione.
A differenza di altre serie ambientate in ospedale i protagonisti di Braccialetti rossi sono i ragazzi, interpretati da sei attori non professionisti scelti tra 6 mila giovani. Gli adulti, tra cui Laura Chiatti, Giampaolo Morelli e Michela Cescon, sono di contorno. Lo racconta il regista Giacomo Campiotti, maestro mancato, che sul rapporto tra i giovani e la malattia aveva già diretto il film Bianca come il latte, rossa come il sangue, tratto dal romanzo Mondadori di Alessandro D’Avenia. Aggiunge Degli Esposti: «Mia figlia, 14 anni, m’ha detto: “papà, così pelati all’inizio mi facevano paura. Adesso mi sembrano molto più belli di quelli coi capelli. Oggi la società ci vuole perfetti: se dopo Braccialetti rossi un ragazzo malato non si sentirà più un diverso, ma un gran figo perché simile a Valentino e a Leo, allora la nostra scommessa sarà vinta”».