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April 20 2024
In principio c’era il Giappone.
Secondo una ricerca dell’Università di Tokyo, un quarto dei giapponesi sotto i quarant’anni è vergine e, anche nell’ambito del matrimonio, i rapporti intimi – causa stress, dipendenza da internet e calo della libido – sono sempre più rarefatti, tant’è che si calcola come un terzo delle coppie nipponiche coniugate si astengano da qualunque atto sessuale.
Questo ha determinato un calo esponenziale del tasso di natalità che, infatti, è tra i più bassi al mondo, con conseguenze che si ripercuotono sulla popolazione (che dimunuirà di oltre il 30% entro il 2060), e sull’economia, perché l’innalzamento dell’età media (il Giappone è il Paese più ‘vecchio’ al mondo) non sarà compensato da una base di lavoratori idonea a sostenere il sistema pensionistico.
Un bel problema, se si pensa che il governo giapponese è dovuto intervenire promettendo “misure senza precedenti”, sia per agevolare e incentivare le famiglie in età fertile (assistenza all'infanzia e promozione di aumenti salariali), sia per formare nuove coppie, con fondi, spazi e servizi, ricorrendo persino all’intelligenza artificiale per organizzare eventi di incontri ‘al buio’ tra i giovani.
Se Sparta piange, Atene non ride.
Cina, Taiwan, Corea del Sud stanno sperimentando sulla propria pelle un fenomeno similare e negli USA la metà degli intervistati, nell’ambito di uno studio commissionato dalla General Social Survey, ha ammesso di far sesso meno di una volta al mese.
E’ quindi un problema che sta diventando globale e comincia a toccarci da vicino.
Secondo l'ultimo rapporto Censis Bayer sul comportamento sessuale degli italiani tra i 18 e i 40 anni, solo il 41,6% dei connazionali sessualmente attivi lo fa almeno due volte a settimana, aumentando le percentuali degli inattivi e degli ‘occasionali’, anche nelle coppie sposate.
Naturalmente gli psicologi e i sociologi si sbizzarriscono sulle cause di questo generalizzato calo della libido nel mondo occidentale (perché solo di questo parliamo, visto che l’Africa è una ‘bomba’ demografica con cui dovremo prossimamente fare i conti tutti), imputandolo alla vita frenetica, alla noia, al web, a tutto ciò che interviene nei meccanismi mentali da cui sorge il bisogno di sessualità, annichilendolo.
A me però interessa il diritto, per svolgere una riflessione ad alta voce.
Dacché il diritto è ‘liquido’, destinato cioè ad adattarsi ai cambiamenti dei tempi e dei costumi, bisognerebbe interrogarsi sul senso di conservare l’impostazione tradizionale che concepisce il ‘sesso’ come un dovere del matrimonio, al punto da attribuire la responsabilità della crisi ai coniugi che si astengono dal concedersi al partner.
Il nostro diritto matrimoniale eredita retaggi del secolo scorso, come l’addebito, che impone al Giudice di individuare il coniuge cui è imputabile la colpa della fine del matrimonio.
Tra queste colpe, il rifiuto di ‘darsi’ è stato ritenuto rilevante ai fini dell’addebito, inquadrato nella violazione del dovere di assistenza morale e materiale.
Insomma, la ‘serrata’ può costare cara nei Tribunali.
Eppure la società sta cambiando e la giurisprudenza abbozza timidi tentativi di mettersi a pari: nel 2017 la Cassazione ha cercato di alleggerire la posizione dei coniugi che si sottraggono ai doveri del talamo, ammettendo che la prova della crisi in corso potesse esentarli da tali obblighi, senza conseguenze ai fini dell’addebito.
Ma c’è, forse, qualcosa in più da fare.
Un nuovo approccio che tolga il sesso rituale dalle componenti fondamentali di una relazione, anche nel diritto.
Perché se non c’è sesso senza amore, come cantava Antonello Venditti, dove sta scritto che non ci sia amore senza sesso?