Settima sfumatura. Nasce Intern, il magazine fatto dagli stagisti
Succede che gli stagisti facciano comunella. Reagiscono così di fronte alle avversità che il mondo del lavoro gli pone: si stringono, si scaldano e poi sbuffano perché non hanno il badge da dipendente.
Noi stagisti facciamo così: ci piace stare tutti insieme. Così succede che Erica, che è molto brava, molto architetto e molto stagista, in un momento in cui non si stava vicini vicini, mi abbia pensato (è che noi altri precari siamo molto molto sensibili) quando ha letto di Intern, un magazine fatto solo da stagisti.
L’iniziativa è lodevole, coraggiosa (e per questo commovente): dare visibilità ai talenti giovani, speranzosi e non pagati.
Per rimediare a quest’ ultimo (non) trascurabile dettaglio c’è il kickstarter dedicato, con cui finanziare il magazine. Si fa leva qui sul buon cuore di tutti quelli che vedono (ancora) uno stagista come un cucciolo bagnato e impaurito, infreddolito dal clima glaciale del mercato del lavoro.
Mi sembra una bella cosa: unire dei talenti per valorizzarli, unire le forze per farsi conoscere. Ma perché farsi conoscere in quanto stagisti?
Forse stretti nel nostro nido di precarietà, nessuno potrà mai considerare noi lavoratori veri. Quelli da stipendio, mutua e ferie pagate, per capirci.
Forse un giornale deve essere bello (oppure no), fatto da stagisti come da pensionati, non importa.
Sono ammirata e perplessa, e ho fatto un grosso sforzo per non pronunciare le parole “lotta di classe” in tutto il post, ma alla fine – come vedete – ho ceduto. Però la sensazione che ho avuto è un po’ quel prurito lì della lotta di classe, quando le classi non ci sono più (o ci sono di nuovo?).
In ogni caso, è un magazine bi-annuale: se la prendono comoda, probabilmente aspettando che fra un numero e l’altro, la crisi e la disoccupazione finiscano.
(L’immagine è una bella screenshottata del sito, molto di classe, molto calmo, molto bianco: molto bravi alla fin fine ‘sti stagisti)
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