Lifestyle
October 14 2022
I più potenti motori del cambiamento italiano sono quasi sempre le emergenze. E’ stato così per lo smart working, entrato prepotentemente nell’organizzazione del lavoro aziendale nazionale solo con il Covid, e allo stesso modo pare che la crisi energetica di questi mesi possa essere l’elemento propulsivo decisivo per alcuni cambiamenti sulla gestione del tempo impiegato al lavoro e a scuola, riducendo di un giorno la settimana lavorativa e di studio.
Insomma, per far fronte ad alcune situazioni di allarme sanitario ed energetico, in pochissimo tempo – qualche anno – si sta ridisegnando l’orizzonte scolastico e lavorativo degli italiani, vale a dire alcune delle componenti più caratteristiche di un tempo storico.
In questi casi è sempre bene prestare attenzione, perché un provvedimento emergenziale può essere accolto in ogni caso, ma un cambiamento strutturale nella vita delle famiglie italiane – e dei loro ragazzi! - deve essere ponderato andando ben oltre la necessità di una stagione da cui difendersi causa contagi o causa rincari.
Soffermandosi sulle scuole, va detto che l’idea della settimana corta è più di una moda di stagione, perché da almeno una decina d’anni c’è chi sostiene che la scuola debba uniformarsi alla settimana lavorativa comunemente intesa, e per cui si svolga da lunedì a venerdì. Sono pensate in questo modo le settimane di elementari e medie, ma ora i fari sono orientati sugli istituti superiori, la cui chiusura di sabato è di tanto in tanto sotto osservazione e discussa soprattutto in Lombardia, dove ci sono già alcune sperimentazioni. E’ così da diversi anni in alcuni istituti per il solo biennio superiore, è così in quasi tutte le scuole paritarie e da qualche giorno è così anche in interi istituti statali, ultimo il liceo Banfi di Vimercate, in provincia di Milano.
Sgomberiamo il campo da prese di posizione pregiudiziali: sostenere che la scuola vada riformata perché così non funziona non è una motivazione sufficiente per riorganizzarla in cinque giorni, così come ostacolare questo cambiamento perché si è sempre andati al sabato non può essere una argomentazione valida. La scuola italiana ha moltissimi problemi enormi e pochissime soluzioni a basso costo a portata di mano, per cui la settimana corta non ne sancirà la guarigione o l’agonia.
Un paio di elementi utili alla discussione sono senza dubbio la gestione del tempo degli studenti e successivamente l’organizzazione della vita professionale di tutti i docenti.
Uno degli argomenti principali che si oppone alla settimana corta è la presunta mancanza di tempo da dedicare allo studio casalingo nel corso dei pomeriggi. E’ inevitabile che, frequentando cinque giorni anziché sei, ogni giornata di scuola debba prevedere un’ora di lezione in più, ma il problema della scuola italiana e della preparazione degli studenti non è certo il tempo mancante per studiare. Gli studenti stessi sono i primi a riconoscere l’enorme quantità di tempo buttato nei loro lunghi pomeriggi, per cui terminare un’ora dopo a scuola inciderebbe semmai sul tempo a disposizione, non necessariamente sul tempo dedicato allo studio. E’ possibile terminare alla sesta ora, svolgere un’attività ricreativa o sportiva, dedicarsi allo studio come si deve e avere una vita sociale anche riorganizzando la settimana in cinque giorni. Tanto che gli studenti che sperimentano la settimana corta non intendono tornare all’antico.
Certo, questa soluzione non dovrebbe essere inserita improvvisamente nelle loro vite, in corso d’anno, perché ne risentirebbero i loro impegni, alcuni anche gravosi, alcuni meritevoli, tutti legittimi e da rispettare.
In secondo luogo, i docenti, che sarebbero tutti coinvolti nella vita scolastica da lunedì a venerdì, garantendo maggiore presenza e avendo per loro due giorni di riposo consecutivi per stare in famiglia, o per staccare, come si preferisca. Un lusso che a oggi è riservato solo ai docenti di ruolo, con buona pace dei precari, ancora una volta vessati e senza possibilità di replica.