Attenti alla desertificazione (immaginaria)

Non ne posso più dell’allarmismo ambientalista. Non passa giorno senza che qualcuno si svegli e annunci catastrofi e disastri globali. L’ultimo è di pochi giorni fa: la Sicilia è a rischio desertificazione, dice un professore dell’Università di Catania. Gli invasi sono sotto il 10 per cento della loro capienza massima e le piogge dei giorni scorsi sono anomale ed eccezionali, concentrate solo in alcune zone della regione e a volte la quantità di acqua che si riversa in poche ore è quella di sei mesi. Conclusione: si rischiano danni alle colture agrumicole e olivicole, ma anche alle attività zootecniche legate ai pascoli.

La scarsità di piogge in alcune aree e l’eccesso in altre per effetto del cambiamento climatico, porta la Sicilia verso scenari di aridità, è la sentenza. «A settembre» scrive il Corriere della Sera «alcuni ricercatori dell’Università di Catania hanno registrato la moria di numerose querce, alberi dominanti della macchia mediterranea. E gli agricoltori in pieno autunno sono stati costretti a irrigare gli agrumi».

Non so quante piante siano morte a settembre, tuttavia so quali sono l’estensione boschiva della Sicilia e il territorio coltivato, perché l’Istat e la Regione fanno periodiche rilevazioni. Cominciamo dall’inventario forestale. Una relazione del maggio 2020 mette a confronto i dati del patrimonio boschivo al momento dell’istituzione dell’autonomia dell’isola (1947) con le più recenti rilevazioni. In totale, si passa da 102 mila ettari, pari al 4 per cento della superficie totale, a 221 mila ettari. Mica male per una regione che rischia la desertificazione. Nel dettaglio il rapporto ci spiega che «in tempi recenti, un significativo incremento del bosco è stato determinato dalla ricolonizzazione di aree boschive abbandonate, soprattutto dei frutteti». Ma soprattutto, ci dice che i rimboschimenti rappresentano da soli il 36 per cento del totale. Dunque, avere un esercito di forestali in Sicilia (pare siano 16 mila, poco meno di quelli impiegati in Canada) non è stato inutile. «Prescindendo dai rimboschimenti» ci illustra la relazione del 2020, «le specie più diffuse sul territorio regionale sono quelle di genere Quercus: in primo luogo le querce caducifoglie submontane, mesofile ma anche termomesofile, a seguire quelle sempreverdi mediterranee». Può darsi che, come ci informa il Corriere, si registri una moria di numerose querce, ma a meno che non siano morte nell’ultimo anno, al momento non pare esserci traccia di desertificazione. Anzi.

E veniamo al secondo allarme, per cui sarebbero a repentaglio le produzioni agricole e zootecniche. È appena uscito un dettagliato rapporto sul settore in Sicilia a cura del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Sono un centinaio di pagine, ma il succo è che le coltivazioni nell’isola sono in aumento. La fotografia dell’andamento del sistema agroindustriale regionale, infatti, mostra un settore in crescita del 4 per cento rispetto alla media del periodo 2013-2022. Nella sintesi di pagina 26 si legge: «Il valore della produzione a prezzi base del settore agricoltura, silvicoltura e pesca in Sicilia nel 2023 è aumentato di quasi 7 punti percentuali rispetto al 2021. Tra le coltivazioni agricole, nel corso del 2023, cresce per il secondo anno consecutivo il valore della produzione degli agrumi (23,8 per cento rispetto al 2022 e 26,5 tra il 2021 e 2022) e delle coltivazioni legnose (+12 per cento). La produzione olivicola aumenta del 19 per cento, mentre tra i prodotti della zootecnia la crescita maggiore si registra per uova (+15,3 per cento), latte (+9,7) e miele (+9)».

Desertificazione? A rischio le colture agrumicole, olivicole e le attività zootecniche? A leggere i dati non si direbbe. Certo, se poi si vuol fare il discorso degli invasi che risalgono al secolo scorso, delle condutture che perdono acqua da tutte le parti e condannano spesso i siciliani ai rubinetti a secco, si può essere d’accordo, ma l’idea che il cambiamento climatico stia trasformando la Sicilia nel Sahara non sembra proprio corrispondere alla realtà. Semmai pare rispondere all’esigenza di trovare nel surriscaldamento globale la colpa di ogni cosa, oltre che uno strumento straordinario per ottenere visibilità e giustificare tutto: pure l’aumento del prezzo dei servizi e la necessità di sostituire macchine e caldaie con altre più rispettose dell’ambiente. E, guarda caso, anche più costose.

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