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November 06 2017
A Largo del Nazareno si è sentito un tonfo. Il flop elettorale registrato in Sicilia, e anche a Ostia, apre una nuova pagina della politica nazionale, anche se la tendenza è quella di non mischiare le due cose. L’effetto tsunami si è già fatto sentire però.
In un post su facebook Luigi Di Maio ha annullato il confronto tv con Matteo Renzi spiegando che “Il Pd è politicamente defunto. A quello che leggo oggi sui giornali in interviste di esponenti Pd, non sappiamo neanche se Renzi sarà il candidato premier del centro sinistra. Anzi, secondo le ultime indiscrezioni riportate dai media, a breve ci sarà una direzione del Pd dove il suo ruolo sarà messo in discussione. Il nostro competitor non è più Renzi o il Pd... Avevo chiesto il confronto con Renzi qualche giorno fa, quando lui era il candidato premier di quella parte politica. Il terremoto del voto in Sicilia ha completamente cambiato questa prospettiva. Mi confronterò con la persona che sarà indicata come candidato premier da quel partito o quella coalizione”.
Renzi all’indomani del voto in Sicilia non solo rischia di essere disarcionato da quella parte del partito che lo ha sempre mal digerito, ma cosa ancora più emblematica dalle opposizioni che non lo riconoscono più come un potenziale pericolo.
Tuttavia è escluso che nella Direzione del Pd che si terrà tra una settimana, Renzi possa rimettere il suo ruolo di segretario, tutt’al più qualcuno ipotizza che potrebbe farsi da parte per la corsa a Palazzo Chigi. Ma chi conosce l’uomo bolla questo scenario come “fantapolitica”.
Il Pd in Sicilia, stando ai primi dati, fa peggio delle scorse elezioni siciliane, afferrando uno scarso 11 per cento e considerando che la lista di Claudio Fava, nata per l’occasione e pochi strumenti a disposizione ha raccolto il 9 per cento, esprime tutta la debolezza del partito sull’isola. A poco servono gli annunci di questa mattina a “tornare uniti” se ieri sera il delfino renziano, Davide Faraone, commentando gli exit poll non ha mancato occasione di scaricare la colpa della sconfitta contro Pietro Grasso e i fuoriusciti di Mdp che all’ultimo si sarebbero tirati indietro nell’appoggio a Fabrizio Micari.
La Sicilia si è trasformata in una trappola. Se il Rosatellumera nato per favorire le coalizioni e il progetto di un governo Pd – Forza Italia, oggi che i partiti di centrodestra hanno sperimentato che uniti si vince, Renzi si trova in un cul de sac, ovvero cominciare a riguardarsi a sinistra dove ci sono quelli che fino ad oggi sono stati considerati gufi e sono quanto più indispensabili per non rimanere isolati al centro insieme ad Angelino Alfano.
Ma le buone intenzioni sono state rimandate al mittente direttamente da Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana: “non mi posso alleare con chi ha fatto il jobs act e ha cercato di abbattere la Costituzione. Renzi? Non ce l'ho con lui ma con le politiche che il Pd ha fatto, legittimamente. Io invece di togliere l'articolo 18 lo voglio rimettere”.
Insomma, chini per la batosta, l’errore del giorno dopo sarebbe quello di rincorrere gli schieramenti per recuperare nei numeri, senza affrontare ancora una volta gli argomenti, le idee, i programmi. Per non ricadere “nell’aggregazione politico elettorale al servizio del leader” come l’ha bollata Emanuele Macaluso, ex deputato del Pci, questa mattina dalle pagine del Corriere.
Non si può dire con certezza se la stagione di Renzi sia finita, certamente da un anno e mezzo a questa parte non gode di ottima salute. Intanto grazie alle divisioni della sinistra, molte delle quali attribuibili all’atteggiamento muscolare del segretario Pd, Liguria e Sicilia passano al centrodestra. Nella prossima primavera andranno al voto anche il Lazio e il Friuli Venezia Giulia, dove Deborah Serracchiani non vorrebbe ricandidarsi per tornare a Montecitorio. Sono sfide che non possono essere perse e per ricucire con i fuoriusciti proprio gli alfieri renziani dovrebbero farsi da parte e lasciare azione politica a quella minoranza interna più propensa all’inclusione.