Simona Distefano: «The Good Mothers, il mio grande salto nelle serie tv»

È un viaggio avvincente e pericoloso, che attraversa il tradimento e il coraggio, quello al centro di The Good Mothers, la serie che racconta la ‘ndrangheta da un punto di vista diverso: quello delle donne che hanno osato sfidarla. Dopo aver ha vinto il primo Berlinale Series Award alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino, lo scorso febbraio, ha debuttato in streaming su Disney+, con sei episodi diretti da Julian Jarrold ed Elisa Amoruso. Le protagoniste sono Gaia Girace (nel ruolo di Denise Cosco), Valentina Bellè (nei panni di Giuseppina Pesce), Barbara Chichiarelli (in quelli di Anna Colace), Micaela Ramazzotti (che incarna Lea Garofalo) e Simona Distefano (che dà il volto a Concetta Cacciola). «Quattro donne che hanno avuto il coraggio di denunciare, spinte anche da quel desiderio di libertà e di avere quella vita che a loro non era stata concessa», racconta a Panorama.itSimona Distefano, una delle quattro interpreti della serie che in poche settimane ha conquistato sia la critica che il pubblico. Dopo una lunga gavetta e tanto studio - dalla recitazione al canto e danza -, da anni l’attrice lavora in teatro e al cinema e con questo progetto ha fatto il grande salto anche in tv.

Simona, The Good Mothers è la storia di un gruppo di donne che hanno osato sfidare la ’ndrangheta. Cosa l’ha colpita la prima volta che ha letto la sceneggiatura?

«La loro evoluzione. Sembrano delle invisibili invece hanno contribuito in maniera determinante alla lotta contro la criminalità organizzata. Rompono il codice del silenzio, riescono a spezzare legami familiari soffocanti testimoniando contro mariti, padri, fratelli. La storia è così potente e toccante che mi ha coinvolto totalmente sin dalla prima lettura».

Lei interpreta il personaggio Concetta Cacciola, una testimone di giustizia realmente esistita.

«È la migliore amica di Giuseppina Pesce, interpretata da Valentina Bellè. Sono due donne diverse ma profondamente unite. Concetta si è sempre tenuta fuori dagli affari ed è sempre stata trattata in maniera vergognosa, venendo murata in casa per settimane. Il concentrato di segregazione, violenza e mancanza di libertà che questa donna ha dovuto subire mi ha scioccato. Nonostante la sua distanza dal business della ‘ndrangheta, se diventasse una testimone di giustizia, Concetta sferrerebbe un colpo pazzesco all’organizzazione».

Queste “donne invisibili”, clan asservite alle antiche regole della famiglia, spezzano il silenzio collaborando con la giustizia e sfidano i codici di un patriarcato senza pietà e confini.

«Il nemico di queste donne è proprio la famiglia. Quando devono combattere fratelli, mariti o padri tutto si complica perché entra in gioco l’affetto. Il grande lavoro che abbiamo fatto per calarci nella parte è stato metabolizzare la loro grande solitudine, fuori e dentro le mura di casa»

Da sole contro tutti.

«Sempre, anche quando provano a ribellarsi: spesso la strada della denuncia non è supportata da nessuno, nemmeno dallo Stato, e raggiungono picchi di solitudine inimmaginabili».

Per vocazione e scelta, l'attore plasma il personaggio e se ne immedesima. In questo caso come hai fatto?

«Con un lungo lavoro di ricerca, studiando le storie vere che questa serie racconta. Per preparaci, abbiamo lavorato con un dialet coach che oltre a curare le sfumature dalla pronuncia calabrese, ci ha raccontato il contesto in cui queste donne vivono. Il personaggio prende forma anche immaginando l’ambiente dove vive, come si muove e come agisce. Poi scatta il passaggio dalla mente al corpo e dal corpo alle emozioni».

Con le sue colleghe Micaela Ramazzotti, Gaia Girace e Valentina Bellè vi siete confrontate sulle storie così potenti delle donne che stavate interpretando?

«Sì, certo. In particolare, io l’ho fatto con Valentina Bellè e con Anna Ferruzzo, che interpreta mia madre. Con loro, anche fuori dal set, ci siamo raccontate tanto dei nostri personaggi, dal loro coraggio e di come hanno cambiato le cose».

Lei è nata a Catania, sin da bambina ha studiato recitazione, canto e danza e fino ad oggi si è concentrata molto sul teatro e sul cinema. The good mothers è il suo grande salto in tv. Soddisfatta?

«Sì, soprattutto mi piace che il mio debutto in una serie tv sia in una storia al femminile, che parla di sud e di riscatto. Mi dà forza l’idea di dar voce a queste storie rimaste per troppo tempo nell’ombra».

Quando è arrivata la chiamata da House Productions e Wildside e da Disney+, cos’ha pensato?

«Che era arrivato il momento giusto per affrontare la sfida: la aspettavo da tempo. All’inizio ero spaventata perché si tratta di un progetto enorme, con un cast e dei registi importanti. Poi la paura si è trasformata in gioia, la gioia in fierezza: racconto al mondo una storia, faccio qualcosa di giusto, restituisco qualcosa a queste donne che hanno lottato per cambiare le cose».

La sua gavetta si è snodata tra Bernstein School of Musical Theatre di Bologna, la Guildford School of Acting e tanto teatro, anche con il musical dove ha interpretato Maria Maddalena in Jesus Christ Superstar.

«Ho danzato, recitato, cantato. Mi piace esplorare più dimensioni, sapere usare il mio corpo in qualsiasi forma artistica mi venga richiesta. Dopo l’accademia, feci un provino per Jesus Christ Superstar: doveva essere un impegno di pochi mesi, invece siamo stati in tournée cinque anni, anche all’estero. Mi sono formata sul palco e al tempo stesso ho viaggiato, ho aperto il mio sguardo al mondo».

Poi è arrivato il cinema, con un debutto blasonato.

«Il grande schermo l’ho sempre desiderato, è stato il mio approdo onirico. Nel 2018 quel sogno di è fatto realtà quando mi hanno preso per un ruolo nel film Il traditore: lavorare con Marco Bellocchio è stato qualcosa di clamoroso. Ora che mi sono arrivate nuove proposte, spero di non fermarmi più».

Il suo grande sogno professionale?

«Lo sto vivendo. Continuare a spaziare, fare esperienze, calarmi in ruoli inaspettati e lontani dal mio mondo. Recitare è un privilegio, non farsi incasellare in un ruolo o in un cliché anche. In teatro o davanti a una telecamera posso essere una, cento, mille Simona».

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