Simona Sparaco, 'Se chiudo gli occhi' - La recensione

Reduce dal successo di Nessuno sa di noi - romanzo rivelazione dell'anno passato con nomination nella cinquina dello Strega - Simona Sparaco torna a scoperchiare il calderone degli affetti familiari. Con un romanzo dalla trama esile come una corolla di biancospino ma dal messaggio forte come un tronco centenario. C'è qualcosa dietro ciò che appare. Posso vederlo: Se chiudo gli occhi.

Nel triangolo fra il Conero, il Subasio e i monti Sibillini, dicono, si cela una concentrazione di sensitivi. Viola e Oliviero, una figlia e un padre che la vita ha tenuto distanti e diffidenti, attraversano l'Appennino in auto alla ricerca di qualcosa. Sarà un viaggio di formazione tardiva e reciproco ri-conoscimento. Magnetiche solitudini e solitari incontri. Sguardi di sbieco e abbracci mancati. Rimorsi e rimpianti. Misteriose radici e misteri radicati nell'antro della Sibilla. Invisibili reti tessute da corpi inconsistenti come Nora, personaggio ispirato alla vita di una donna marchigiana capace di "viaggiare" nei corpi e fare diagnosi a distanza.

Certe volte il non detto vale più di ciò che si manifesta, a maggior ragione in un romanzo dalla matrice vagamente esoterica. Una lettura sintomale di Se chiudo gli occhi individua nella psicopatologia di un padre bloccato allo stadio del narcisismo la chiave per scardinare la gabbia che imprigiona, e per smascherare le trappole dell'amore idealizzato. "Per ogni donna" amava dire Donald Winnicott, guru della psicoanalisi post freudiana, "vi sono sempre tre donne: la bambina, la madre, la madre della madre (...) perché ella comincia da tre, mentre l'uomo comincia con l'urgenza di essere uno".

Bello, creativo, di successo. Inaffidabile, libertino, cialtrone. Le contraddizioni di Oliviero si addensano curva dopo curva, mentre la luce scabra dell'altipiano ne scava le rughe come se il tempo avesse improvvisamente cominciato a marciare verso l'ineluttabile finitudine di un'esistenza che non aveva messo in conto di poter finire. Il male d'artista è la coazione alla fuga. Il meccanismo di difesa di Oliviero, uno stratagemma molto artistico (molto letterario) di identificazione proiettiva: nascondere l'oggetto transizionale - un oggetto buono appartenente alla persona amata - dentro la scultura plasmata nel gesso.

Quanto sono importanti i padri nel determinare che donne saremo? La risposta è scontata. Noi modelliamo le nostre scelte di vita a partire dall'orizzonte simbolico genitoriale, per similitudine o più spesso per ritorsione. E se si scopre che l'oggetto d'amore del padre era un'altra donna, una donna che non poteva avere figli? Che fosti uno sbaglio o forse un atto d'onnipotenza, comunque non un frutto d'amore? I segreti dei genitori non sono mai belli da verificare ma Oliviero svelerà un'anima più complessa del proprio cliché. E poi ha un amico fotografo che li ospita nel suo eremo di montagna...

"Nessuno sapeva di noi". Ho trovato a un certo punto questa frase come un rimando celato fra le righe, mi piace non sapere se Sparaco l'ha messa apposta oppure no. Ma la coincidenza più sorprendente è che Nessuno sa di noi e Se chiudo gli occhi hanno la medesima protagonista, sebbene qui nella sua forma immateriale: Luce. Simona Sparaco ha cercato parole affusolate come il bordo di una collina per catturare la luce d'Occidente sui monti Sibillini. Il bianco, il grigio e il nero, la misteriosa sorgente della vibrazione invisibile che confonde i contorni delle cose - traguardi e sconfitte e rancori e scuse e fallimenti - per aprire una porta verso altre direzioni.

Viola si lascia irretire, confusa dalla propria mediocrità poi sempre più coinvolta nel gioco delle rivelazioni. Il suo io frammentato le si para davanti inerme, trafitto e castigato dal gelo, dolorosamente ricomposto infine sotto le sembianze di un'antica ancella. Il perdono, nella sua accezione più universale, è l'unica chance per interrompere la catena del male.

Simona Sparaco
Se chiudo gli occhi
Giunti
272 pp., 16 euro

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