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Il coraggio di Sinner e il silenzio degli altri

Scegliendo di ritirarsi dal torneo di Parigi Bercy senza affrontare l'australiano De Minaur, partita messa in cartellone dagli organizzatori 14 ore dopo la fine del turno precedente con Mc Donald, Jannik Sinner si è iscritto nel ruolo di capo popolo dei tennisti mondiali. La sua ribellione in nome del "meglio la salute" ha raccolto consensi unanimi sui giornali e qualche voce di appoggio anche tra i colleghi. Poche, a dir la verità, come ha sottolineato l'ex azzurro Paolo Bertolucci che del tennis ha vissuto gli anni ruggenti contribuendo a fondare l'ATP che altro non è che il sindacato dei giocatori.

Sinner ha fatto benissimo perché non aveva alcuna logica pretendere che tornasse in campo dopo aver chiuso il match precedente alle 2,37 di notte. Non per uno sfortunato caso, ma come logica conseguenza della scelta degli organizzatori parigini di piazzare sei match sul campo centrale così da ottimizzare gli incassi. Meglio non rischiare, avvicinandosi le Finals di Torino e poi la fase decisiva della Coppa Davis. E meglio anche dare un segnale forte, come tanti colleghi non sono stati capaci di fare dal momento che le cattive abitudini parigine non sono un unicum nel circuito.

Il tema, però, è più ampio e non riguarda solo il tennis. Il dibattito su quanto si gioca, con quale spazio di riposo e a quale prezzo è aperto anche negli altri sport. I calendari sono sovraffollati e le decisioni vengono prese da chi ha a cuore il business e non la ricaduta sui protagonisti. Non è solo un discorso di usura fisica: in primavera i piloti della Moto Gp hanno duramente criticato la scelta di introdurre le Sprint Race in tutti i fine settimana di gara raddoppiando stress e rischi. Non è cambiato nulla e non poteva essere, perché quasi sempre le programmazioni di calendario sono legate a contratti pubblicitari e televisivi e non si può pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca.

Nel calcio, ad esempio, allenatori e top player salgono sulle barricate a parole per chiedere che si giochi meno e che ci sia più spazio garantito tra un impegno e l'altro. Detto che rispetto ad altri sport sono quasi privilegiati, avendo quasi sempre almeno una sessantina di ore per riprendersi dalle fatiche di una partita, alle denunce manca sempre la seconda parte e cioè a quanto di quel sistema si è disposti a rinunciare in nome della salute e della qualità della prestazione.

Perché la verità è che i calendari compressi hanno portato all'aumento esponenziale dei ricavi da diritti tv e che questi si sono in larghissima parte trasferiti sui conti correnti dei calciatori. Quindi se si vuole giocare a ritmi più '"umani" bisogna accettare l'idea di guadagnare meno. A volte molto meno. Che è poi quello che ha fatto Sinner lasciando a Parigi un assegno virtuale da decine di migliaia di euro, soldi che avrebbe preso passando il turno successivo e andando avanti chissà quanto. Si attende che altri si comportino come lui, con coraggio e coerenza.

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