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(Ansa)
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Sofia Goggia, campionessa travolta dalla «valanga» del pensiero unico Lgbt

’ stata letteralmente travolta da una valanga di critiche la campionessa olimpica Sofia Goggia. Il paragone con una valanga per chi ha fatto delle montagne innevate la sua vita farebbe sorridere se non fosse per il massacro mediatico arrivato ad opera della comunità LGBT, il tutto a causa delle dichiarazioni della stessa Goggia sugli atleti transgender rilasciante ad Aldo Cazzullo e Flavio Vanetti sulle pagine del Corriere della Sera.

«A livello di sport – ha affermato la sciatrice - un uomo che si trasforma in donna ha caratteristiche fisiche, anche a livello ormonale, che consentono di spingere di più. Non credo allora che sia giusto». Ed ecco subito la tempesta e le polemiche, per il “reato” di aver rivendicato in diritto delle donne di gareggiare normalmente, di essere tutelate e protette dall’invasione degli atleti transgender che finiscono così per discriminare proprio le donne snaturando la competitività sportiva.

Parole quindi sacrosante, quelle di chi più di ogni altro commentatore o attivista LGBT può dire con cognizione di causa ciò che accade nello sport. Sofia Goggia – lo ricordiamo, campionessa olimpica nella discesa libera a Pyeongchang 2018, vincitrice di tre Coppe del Mondo di discesa libera e di due medaglie mondiali – ha semplicemente portato alla luce del sole l’evidenza, non opinioni campate in aria e senza fondamenti scientifici e fattuali. È innegabile, infatti, come qualsiasi uomo – anche chi ha già intrapreso o finito un percorso di transizione – goda di innumerevoli vantaggi nei confronti delle donne quando si tratta di gareggiare nella stessa disciplina sportiva.

E di prove fattuali, purtroppo, ce ne sono già troppe, giunte a noi soprattutto dall’estero che, come si dice, “fanno scuola”, su quanto possano essere discriminate e annichilite sportivamente le donne. Pensiamo per esempio al caso di Lia Thomas, nuotatore transgender della University of Pennsylvania che sta sbaragliando tutte le sue avversarie donne. William, questo il suo nome prima della transizione, prima era addirittura il numero 428 della classificazione nazionale, mentre ora è un vero e proprio “fenomeno” e, gareggiando contro le donne, è riuscita a conquistare i vertici delle classifiche nazionali di categoria.

Fortunatamente, però, ciò che accade all’estero è anche un buon esempio di come l’indignazione debba essere, semmai, per questa assurda discriminazione contro le atlete. Lo scorso febbraio, per esempio, ben 16 colleghe e compagne di squadra proprio di Lia Thomas hanno chiesto, con una lettera aperta pubblicata sul Washington Post, di bandire la nuotatrice dalle competizioni. Le atlete hanno detto di credere al suo percorso di transizione e non voler in alcun modo andare contro la persona, ma hanno ribadito come il suo sesso biologico gli abbia dato un vantaggio sproporzionato nelle competizioni femminili. «Sosteniamo pienamente Lia Thomas nella sua decisione di affermare la sua identità di genere e di passare da uomo a donna – hanno scritto – Tuttavia riconosciamo anche che quando si tratta di competizione sportiva, la biologia del sesso è una questione separata dall'identità di genere di qualcuno. Biologicamente Lia detiene un vantaggio sleale rispetto alla concorrenza nella categoria femminile, come evidenziato dalle sue classifiche». Una protesta alla quale ha fatto eco la decisione del governatore repubblicano della Florida, Ron DeSantis, che lo scorso marzo ha rifiutato il verdetto di una gara con Thomas vincitore, riconoscendo Emma Weyant, medaglia d'argento nei 400 misti ai Giochi di Tokyo dello scorso anno, come reale vincitrice della gara.

Sempre per quanto riguarda il mondo politico, un’importante presa di posizione è arrivata qualche settimana fa dal primo ministro britannico Boris Johnson, il quale ha affermato che i maschi biologici transgender non dovrebbero competere negli sport femminili. Durante una visita a un ospedale di Welwyn Garden City, nell’Hertfordshire, il premier ha infatti commentato così la questione: «Non credo che i maschi biologici dovrebbero competere in eventi sportivi femminili. Questa è una cosa controversa, ma mi sembra solo ragionevole ».

Infine, come si diceva, non solo politica e sport ma anche e soprattutto la scienza porta alla luce l’evidenza di questa discriminazione. Il British Journal of Sports Medicine, ha recentemente pubblicato i risultati di una ricerca condotta tra il 2013 e il 2018 su 75 soggetti transgender, dei quali 29 uomini “diventati” donne, che hanno iniziato il percorso di riassegnazione di genere. Il risultato è stata l’evidente e netto vantaggio competitivo degli uomini biologici rispetto alle donne, con picchi del 31% di forza e vantaggio in più durante le prestazioni atletiche. La ricerca è inoltre stata condotta su più indicatori, come il numero di flessioni che si riescono a fare, gli addominali e la corsa di 1,5 miglia.

Sport, scienza e una parte importante di politica. Contesti diversi che, insieme – almeno all’estero – hanno scelto di stare dalla parte della verità. In Italia, invece, anche lo sport sembra essere incatenato dalle bende sugli occhi dell’ideologia gender.

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