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Rimborsi di Grillo, la verità

«Il Movimento 5 stelle ha restituito 42 milioni di euro di rimborsi elettorali»: questo è il motto di Beppe Grillo per zittire ogni critica sul suo operato o del M5s. Nella realtà, questo non è mai accaduto. Il fatto emerge grazie a un richiesta di chiarimenti avanzata dal deputato di Sel Sergio Boccadutri al presidente del Senato, Pietro Grasso. Boccadutri chiede se Grillo e il M5s abbiano mai rispettato la legge che predispone il diritto ai rimborsi, la n. 96 del 2012, al fine poi di incassare o eventualmente restituire la somma. La legge obbliga le forze politiche a depositare alle Camere rispettivamente la dichiarazione dei redditi del tesoriere (Beppe Grillo in questo caso), il bilancio del M5s e uno statuto che abbia caratteristiche formali conformi “a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo... al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti”. Tutto questo va presentato “entro 45 giorni dalla data di svolgimento delle elezioni” pena la perdita del diritto. 

La risposta di Grasso a Boccadutri, datata 18 ottobre, è eloquente: “il Senato non ha ricevuto copia”. Il presidente spiega di non sapere chi sia il tesoriere, e di non avere ricevuto né i sui riferimenti né il bilancio del gruppo. Grasso precisa però che il diritto al rimborso “decade ove non provvedano alla trasmissione” secondo i tempi. Il diritto al rimborso, di fatto, non è mai scattato per Grillo e il M5s. Quindi non potevano restituire alcunché. E lo statuto presentato per candidare i parlamentari non prevede poi neanche formalmente il rispetto della legge, cioè “il rispetto delle minoranze” e “il diritti degli iscritti”, cioè che chi non la pensa come Grillo possa discuterne e non essere espulso su due piedi, come è successo. 

Va aggiunto che sul bilancio del Movimento è stato presentato un esposto alla Procura di Genova dall'Associazione casa della legalità (sempre di Genova) perché il M5s è accusato di aver incassato svariate migliaia di euro di donazioni ai banchetti per strada, senza però inserirle nei bilanci ufficiali della forza politica. Non il massimo, insomma, per chi si è fatto paladino della trasparenza nazionale.

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