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January 03 2023
Da sempre il governo, tutti i governi, di tutte le coalizioni, hanno dato fondi al cinema italiano; denaro utilizzato per produrre centinaia di film ed elargito in modi diversi al punto che è difficile capire a quanto ammonti questo piccolo grande tesoro.
Snocciolando i dati degli ultimi anni fornitici dalla Direzione generale cinema e audiovisivo del Ministero della Cultura, è impressionante il numero delle opere finanziate dallo Stato con i diversi strumenti messi a disposizione dalla nuova legge cinema e audiovisivo (legge n. 220 del 2016) a partire dal 2017 a oggi, tra contributi automatici e selettivi e tax credit. Alcuni di questi film, tra l’altro, sono ghosting: se ne sono perse le tracce, mai passati al cinema e neanche acquisiti da tv o piattaforme digitali. Invisibili.
La cifra che ne esce è comunque davvero rilevante: siamo infatti vicini al miliardo e trecento milioni di euro in sei anni: soldi utilizzati per realizzare un altro numero difficilmente quantificabile di opere; i dati a disposizione sono infatti limitati al periodo 2017-2020 per un totale di 820 film sovvenzionati. Ma le richieste erano state molte di più
Gli stanziamenti pubblici per lo sviluppo e la produzione di film hanno avuto un incremento costante negli ultimi anni, con un picco nel 2021 dovuto alle misure straordinarie per contrastare gli effetti della pandemia sul settore cinematografico.
Nel 2017 ammontano a 90.080.000 euro i fondi pubblici per lo sviluppo e la produzione cinematografica, a cui si aggiungono 20.960.000 di altri fondi stanziati anche per le opere cinematografiche (qui rientrano varie tipologie di opere tra cui, ad esempio, l’animazione).
Nel 2018 i fondi totali sono stati 154.600.000 (124.080.000 più 30.520.000); nel 2019 oltre 197 milioni (172.480.927,24 più 24.534.384,96); nel 2020 si sale a 219.400.000 (183.000.000 più 36.400.000). Nel 2021 ecco il picco dovuto al Covid con 335.300.000 (283.200.000 più 52.100.000). Fino all’oggi, al 2022, con oltre 277 milioni di euro (203.200.000 più 73.842.448,07).
La produzione di lungometraggi cinematografici in Italia continua a salire di anno in anno, aumento che però non implica un rafforzamento del settore bensì, spesso, una fumosa dispersione di energie e risorse. «La tax credit ha facilitato e incoraggiato i produttori a fare i film nella quantità e non nella qualità», aveva osservato Pupi Avati quando l’abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo Dante. Tanti i film italiani prodotti e finanziati dallo Stato, pochissimi gli spettatori che andranno a vederli in sala, se arriveranno al cinema.
Nel 2017 sono stati 235 i film che hanno ricevuto dal Ministero il nullaosta per la proiezione in pubblico: di questi 62 non hanno attivato le procedure che consentono di beneficiare di aiuti economici, quindi 173 gli effettivi.
Nel 2018 ammontano a 273, di cui 84 non ammissibili, quindi a tutti gli effetti 189. Sono 325 i film nel 2019, da cui sottrarne 78. 252 i film prodotti nel 2020 del Covid, di cui 41 non ammissibili.
«Il ruolo importante dei finanziamenti pubblici statali è mantenere in vita la varietà dei prodotti cinematografici e dare la possibilità di produrre film che non rispondano solo a criteri commerciali, ma anche a criteri puramente artistici», ci aveva detto Paolo Genovese commentando la crisi del cinema italiano. «Ma i finanziamenti devono essere mirati, non a pioggia, con capacità di leggere le sceneggiature e capirne le potenzialità artistiche».
Indicativo il Report Swg del Ministero della Cultura ''Gli italiani e il cinema'' presentato a settembre: oltre il 60% della popolazione non si è mai recato al cinema nel 2022, almeno fino ad allora.
Poi è arrivato il ciclone Avatar 2, che attendavamo da tredici anni e che in questi giorni sta dando una flebo ricostituente agli asfittici botteghini italiani (uscito il 14 dicembre, in 16 giorni di programmazione ha incassato oltre 25 milioni di euro, secondo dati Cinetel). E accanto al colossale frontrunner c’è anche Il grande giorno, il film di Natale di Aldo, Giovanni e Giacomo che il 26 dicembre con oltre 1,1 milioni di euro e 154mila presenze è stato il miglior risultato giornaliero per un film italiano da marzo 2020.
Eppure confrontando i numeri di questi dì di festa con le cifre del pre-pandemia c’è poco da sorridere: a Santo Stefano gli incassi sono stati di 5.711.880 di euro contro gli 8.812.906 del 2019. A Natale 2.897.874 di euro contro i 5.251.555 di tre anni fa. L’incasso totale del weekend natalizio? 7.121.000 euro con 884mila presenze, ovvero quasi il 50% in meno dello stesso fine settimana della media degli anni 2017-2019.
Se nel 2020 di chiusure dall’alto e nel 2021 di mascherine in sala le cifre non potevano che essere penose, oggi ancora non scocca l’attesa scintilla della ripresa più volte invocata vanamente, dopo Festival di Cannes, Mostra di Venezia, rilascio di titoli di grido come Crudelia o Top Gun 2. La pandemia ha accelerato una certa disaffezione verso la sala, incoraggiando la visione su mega tv in casa a portata di piattaforme digitali: per uscire dal comodo salotto domestico e recarsi al cinema lo spettatore ha bisogno di stimoli forti. E di qualità.
«La crisi del cinema sarà al centro del mio lavoro», ha promesso il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Una crisi del cinema profonda e tutta italiana, legata soprattutto ai film tricolori, che spesso mancano di qualità e vasto respiro: nella top ten dei migliori incassi del 2022 non compare neanche un film italiano. Il candidato all’Oscar 2023 al miglior film internazionale per l’Italia, Nostalgia di Mario Martone? Ovviamente già fuori dalla shortlist degli Academy Awards. Eppure nel 2021 ben 301 opere di finzione, 165 documentari e 15 film d'animazione hanno chiesto e ottenuto dal Mic il credito di imposta agevolato.
«Basta con i fondi dati solo ai film di sinistra», la stoccata a inizio mandato di Sangiuliano, che vorrebbe riformulare i finanziamenti statali per il cinema. «Bisogna riformare il fondo unico per lo spettacolo, il Fus, e riformare la burocrazia relativa alla raccolta e all’uso dei finanziamenti pubblici», ha detto. Che non significa fare un passo indietro sul fronte intellettuale, perché «lo Stato è fondamentale quando si parla di cultura», ma cambiare la visione delle istituzioni pubbliche verso «una mentalità più attiva, più intraprendente».