La soluzione climatica cinese

La notizia, divulgata con grande enfasi mediatica, è che per la prima volta il 30% della domanda globale di elettricità è stata soddisfatta da fonti rinnovabili grazie alla crescita dell’energia solare ed eolica. La narrativa dei profeti del sole e del vento spiega che la neutralità climatica è alla nostra portata: basterebbe solo ci impegnassimo un po’ di più.

Esattamente quanto di più?

Il diavolo si nasconde nei dettagli e se andiamo a fare due semplici calcoli scopriamo che i combustibili fossili mantengono ancora una quota di oltre l’80% del consumo totale di energia primaria. L’energia elettrica rappresenta circa il 20% del totale dei consumi energetici e se andiamo a fare altri due semplici calcoli scopriamo che, in realtà, il sole ed il vento ci forniscono solo il 5% dell’energia primaria.

Numericamente la strada non sembra così agevole..

Robbins sostiene che "non è ciò che guardi che conta... È quello che vedi" ed oggi, quello che vediamo, è veicolato dall’influenza dell'industria del clima che pone le persone di fronte ad un’enorme propaganda tecnocratica con cui possono confrontarsi limitatamente: troppo alta la soglia delle competenze necessaria. La strategia è nello spingere la convinzione comune che sia necessario “fare presto” e che le tecnologie per risolvere la crisi climatica siano già pronte, alla nostra portata.

L’inviato presidenziale degli Stati Uniti per il clima alla COP28, John Kerry, ha denunciato la "demagogia" che impedisce il progresso verso le emissioni nette zero e mette "il mondo intero a rischio" di distruzione planetaria. Kerry è un’esponente dell'industria del cambiamento climatico: aiuta a sviluppare opportunità di investimento, promuove il contenzioso sul clima e modella il tribunale dell'opinione pubblica.

Il suo rapporto personale con l’inviato cinese per il clima Xie Zhenhua è stato fondamentale per facilitare i negoziati durante la COP28 dove Xie ha la confermato l’impegno cinese di raggiungere il picco delle emissioni di carbonio prima del 2030. Ma a gennaio il governo cinese ha annunciato le dimissioni di Xie da inviato speciale della Cina per il clima e che il suo posto sarebbe stato preso da Liu Zhenmin, ex vice ministro degli Affari esteri.

Lo scorso anno ha visto la Cina aumentare a livelli record le sue installazioni di energia solare ed eolica mentre annunciava nuovi sviluppi della capacità di stoccaggio elettrochimico (batterie) della sua rete elettrica.

Eppure i dati oggi dimostrano che la Cina è ben al di sotto del suo obiettivo di ridurre l'intensità energetica del 13,5% e l'intensità di carbonio del 18% tra il 2021 e il 2025. Questi dati, cioè la misura di quanta energia viene consumata e quanta anidride carbonica viene emessa per unità di crescita economica, sono fondamentali per comprendere la concretezza dell'impegno a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030.

Ma la Cina, sempre l’anno scorso, ha raggiunto un altro record: ha estratto 4,7 miliardi di tonnellate di carbone, con un aumento del 3,4% rispetto ai 12 mesi precedenti, in base ai dati della China National Coal Association e le importazioni nette di carbone sono aumentate del 63% a 470 milioni di tonnellate.

E se si scava più a fondo nella pianificazione di Pechino si scopre che, sulla base delle decisioni prese dal Comitato centrale del PCC, in aprile sono stati emessi, dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma (NDRC) e dall'Amministrazione nazionale per l'energia (NEA), i "Pareri di attuazione sull'istituzione di un sistema di riserva di capacità carbonifera".

Viene istituito un sistema di riserve di produzione di carbone per salvaguardare le forniture di combustibile alle centrali elettriche. L'obiettivo della Commissione è quello di raggiungere una riserva di produzione annuale di 300 milioni di tonnellate di carbone, anch’essa entro il 2030, per consolidare il ruolo del carbone come "garanzia di fondo nell'approvvigionamento energetico".

Una volta che il sistema sarà attivo e funzionante circa un quarto delle nuove miniere entreranno a farne parte e, in caso di necessità, dovranno essere preparate ad immediati aumenti della produzione. Il carbone estratto da questi impianti sarà venduto sotto il controllo del governo.

Più che di “un’uscita dal carbone” pare trattarsi di un sistema con analoghe finalità di quello sviluppato in Germania per supportare l’intermittenza delle rinnovabili e basato sul gas russo. Con la non trascurabile differenza che Pechino ha tratto insegnamento da quella lezione, ed invece di sviluppare il gasdotto “Power of Siberia 2” fonda la sua sicurezza energetica su un combustibile, il carbone, di cui controlla le forniture.

Qualche ingenuo avrebbe potuto pensare che l’Impero di Mezzo, visto il suo ruolo dominante nella produzione di batterie, avrebbe basato su queste ultime la propria sicurezza energetica: il carbone è la principale fonte di energia in Cina e per il PCC svolge il ruolo di "pietra di zavorra" e "stabilizzatore" nell'approvvigionamento energetico.

Lo scorso anno si è anche invertita la tendenza del ridimensionamento della flotta globale di centrali elettriche alimentate a carbone. Per la prima volta dal 2019, trainata da Cina, Indonesia ed India, la capacità di produzione di energia elettrica a carbone è aumentata malgrado le continue dismissioni di centrali da parte dei paesi occidentali.

Così se da un lato circa la metà della nuova capacità di energia solare ed eolica a livello globale è stata realizzata dalla Cina, l’Impero di Mezzo ha anche commissionato i due terzi della capacità di generazione di energia a carbone.

Non a caso il presidente Xi Jinping ha annunciato, nel 2021, che per raggiungere l'obiettivo della neutralità carbonica entro il 2060, il Paese avrebbe "ridotto gradualmente" l'uso del carbone: non che non ne avrebbe più fatto uso.

Se si analizza nei grafici dell’immagine sottostante la proiezione, cioè la linea rossa, dell’uscita dal carbone (phase-out) di Cina, India ed USA è immediato osservare come quanto effettivamente accade in Cina, cioè la linea blu, sia profondamente diverso dagli USA e sia molto più simile all’India la cui uscita dal carbone è di fatto sine die.

Elaborazione su dati SEI, Climate Analytics, E3G, IISD, and UNEP. (2023). The Production Gap: Phasing down or phasing up? Top fossil fuel producers plan even more extraction despite climate promises. Stockholm Environment Institute, Climate Analytics, E3G, International Institute for Sustainable Development and United Nations Environment Programme.

La realtà rappresenta come la Cina anteponga agli obiettivi sul cambiamento climatico la sua attenzione alla sicurezza energetica mentre, a sentire Pechino, l'energia prodotta dal carbone può svolgere al meglio un ruolo di supporto e regolamentazione per promuovere lo sviluppo della trasformazione verde e a basse emissioni di carbonio dell'energia: la soluzione climatica cinese… per l’Occidente.

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