Giorgia meloni mes europa
Giorgia Meloni (Ansa)
Economia

Ue: la sospensione del Patto di stabilità finisce quest’anno. Meloni: Manovra in arrivo

"Non si può approvare uno strumento se non si conosce la cornice. Il problema del Mes è che richiama ai vecchi equilibri del Patto di stabilità che stiamo ridiscutendo”. Così la premier, Giorgia Meloni, al termine di un summit europeo in cui, a differenza di quanto ci si aspettava, nessuno ha chiesto chiarimenti sulla mancata ratifica della riforma del Mes.

Niente indietro tutta. O quasi. "La sospensione del Patto di stabilità finisce quest’anno. L'anno prossimo torneremo al meccanismo regolare". Aveva detto, senza mezzi termini, è la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al termine della prima giornata di lavori al vertice Ue. Una bacchettata ai Paesi dell’Unione, come a dire: avete avuto il tempo per trovare un compromesso, ora il tempo stringe. E il rischio, per molti (Italia compresa) è di finire sotto quella “procedura di deficit eccessivo” con tutto quello che comporta. Tanto che la premier Giorgia Meloni, in prima fila tra quanti chiedono una riforma, aveva definito “drammatico” un ritorno alle vecchie regole. Nessuno sembra volere un ritorno alla “stupidità” (cit Romano Prodi) di quei parametri fissi di deficit e debito. Ma il 31 dicembre è dietro l’angolo.

In breve. Il Patto di stabilità, stabilito nel 1997, è uno dei pilastri su cui si regge la politica di bilancio dei Paesi europei.L’accordo prevede che i vari Paesi rispettino alcuni parametri di bilancio: il deficit pubblico non deve superare il 3% del Pil e il debito pubblico non deve superare il 60% del Pil. Percentuale lontanissima per la maggior parte dei Paesi europei. Ed ecco che l’accordo prevede una “scappatoia”, un’alternativa: dimostrare un calo a un ritmo soddisfacente, un ventesimo all’anno. Il Patto di stabilità era stato sospeso a marzo 2020 causa Covid. Via libera preventivo a qualunque tipo di spesa in deficit agli Stati per affrontare una situazione drammatica in cui i parametri dei conti pubblici erano l’ultimo dei problemi. Ma, pandemia superata, ora cosa succede? 3% e 60%? Procedura di infrazione? Si torna lì?

La Commissione europea ha fatto la sua proposta. Il faro restano le percentuali del 3% e 60% (su questo non si discute), ma si introduce più flessibilità sul modo in cui i due limiti dovranno essere raggiunti, aprendo a percorsi da negoziare con i singoli Stati. Hai un debito gestibile? Puoi fare più deficit. In quanto rientri? Vediamo come spendi i soldi. Ogni Paese negozia il suo percorso con la Commissione europea.E i vari Paesi cosa dicono? Berlino vorrebbe più rigidità, temendo che troppa flessibilità e negoziazione singola siano un problema per la stabilità generale dell’area Euro. Così la Germania vorrebbe costringere i Paesi più esposti a ridurre i livelli di debito dello 0,5% o dell'1% all'anno, a seconda del loro punto di partenza.Parigi sembra disposta a un compromesso: percorsi negoziati sì, ma con l’ultima parola al Consiglio Europeo, cioè ai governi e no a norme automatiche uguali per tutti. L’Italia, con gli altri Paesi che hanno un rapporto debito/Pil lontano da quei parametri, vogliono la massima flessibilità possibile e sostengono che i piani a medio termine terrebbero conto delle caratteristiche nazionali permettendo quindi di tracciare un percorso sostenibile verso i due obiettivi.C’è poi la questione golden rule. L’Italia è in prima fila in questo senso, tra i Paesi che chiedono l’eliminazione di alcuni investimenti dal contodel rapporto deficit/Pil e debito/Pil. Roma vuole togliere dalla sorveglianza fiscale i fondi per la ripresa del Pnrr e i progetti militari. La coalizione capeggiata da Berlino non vuole assolutamente al motto: le regole sono le regole, non diamo spazio a “pericolosi precedenti”.

Cosa rischia l’Italia? Indipendente da quello che verrà approvato (nuove regole o ritorno al passato) Roma (in buona compagnia, non certo da sola) sarà al di sopra delle soglie (60% e 30%). Difficile con gli esborsi fiscali degli ultimi tre anni restare nei limiti imposti da Maastricht. Ma con deficit e debito oltre i limiti del Patto di Stabilità fino al 2026 (ultime previsioni) e un saldo primario insufficiente, l’Italia rischia di entrare nella cosiddetta procedura di deficit eccessivo, che impedirebbe di accedere allo scudo anti-spread della Banca centrale europea in caso di necessità. Tenendo per buona la proposta della Commissione in base alle nuove regole l’Italia dovrebbe ridurre il debito di 14-15 miliardi l’anno, pari allo 0,85% del Pil, se negoziasse un piano in 4 anni. In caso di piano in sette anni l’aggiustamento scenderebbe allo 0,45% del Pil pari a 8 miliardi all’anno. Tempi meno rigidi, ma i paletti resterebbero. E il Pnrr vuol dire per l’Italia 140 miliardi a debito, da qui al 2026.

L’Italia si sta giocando la sua partita. Il tempo stringe. Prossimo appuntamento 9 novembre con il Consiglio dell’Economia. Ma il 31 dicembre è vicino, molto vicino.

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