Il successo «esplosivo» di SpaceX
Sabato scorso, 18 novembre, abbiamo assistito al secondo lancio di prova del mega razzo Starship, il più potente mai realizzato, dalla “Star-base” situata nei pressi di Boca Chica, nel sud del Texas. E sebbene il veicolo sia esploso, il suo volo ha rappresentato un grande passo avanti nel progetto del vettore che riporterà l’uomo sulla Luna. Anzi, una pietra miliare perché, oltre a validare il primo stadio con tutti e 33 i motori accesi contemporaneamente (tre più del razzo sovietico N-1 che non ebbe alcun successo), ha visto i due stadi del razzo si sono separati con successo.
Il “booster” Super Heavy è esploso poco dopo la manovra, mentre lo stadio superiore dell'astronave è andato in pezzi prima di completare l’esaurimento della combustione, ma la verità, probabilmente, è che ciò che doveva essere sperimentato si è rivelato un successo, mentre questo esemplare di razzo non era comunque convenientemente aggiornabile per accogliere le modifiche previste a breve, e quindi è stato distrutto in quello che SpaceX ha definito un “rapido smontaggio non programmato”.
John Insprucker, capo dell’ingegneria, durante un webcast in diretta dell’evento ha dichiarato: “Quello che crediamo in questo momento è che il sistema automatizzato di terminazione del volo sul secondo stadio sembra essersi attivato molto tardi, mentre il razzo era diretto verso il Golfo del Messico.” Bisogna ricordare che il venti aprile scorso, data del primo lancio, uno dei motivi che resero necessaria la distruzione comandata fu proprio la mancata separazione dei due stadi dell'astronave. Per evitare che questo problema si ripetesse durante il secondo volo, i tecnici di SpaceX avevano deciso di adottare una nuova strategia detta “hot staging”, nella quale i motori dello stadio superiore hanno iniziato ad accendersi prima che Starship e Super Heavy si fossero completamente separati. Un sistema non nuovo che gli usa adottarono sul missile Titan II del programma Gemini negli anni '60 e che viene usata ancora oggi dai russi sul razzo Soyuz.
Sabato non è andato tutto liscio, lo stadio superiore dell'astronave ha continuato a volare per un breve periodo dopo la separazione del primo stadio, da terra gli ingegneri speravano di stabilire l'acquisizione del segnale con la navicella all'altitudine prestabilita di circa 250 chilometri, ma questo è andato perso circa otto minuti dopo il decollo. Siva Bharadvaj, ingegnere operativo di SpaceX, prima del lancio aveva però spiegato: “Oggi non puntiamo all'orbita ma quasi, arrivare a un profilo di spinta simile a quello di cui avremmo bisogno per raggiungerla.” Quindi SpaceX considerava comunque il secondo tentativo un successo.
L'ultimo segnale telemetrico proveniente dal lancio aveva riportato un'altitudine di 148 chilometri, ben al di sopra dei 100 km dopo i quali si considera l’inizio dello “spazio”. E di fatto la compagnia di Elon Musk ora possiede tanti dati utili per migliorare il prossimo volo del razzo che, quando fu presentato la prima volta, lui stesso magnate americano definì Mars Colonial Transporter. Era il 2016 e si intuì subito che il programma era finalizzato ad arrivare sul pianeta rosso. Starship, d'altra parte, è progettata per essere completamente e rapidamente riutilizzabile e si è evoluta molto attraverso le sue fasi di sviluppo. Musk ha pubblicizzato le capacità del veicolo per una rapida riutilizzabilità e spera di vedere gli stessi veicoli lanciarsi, atterrare e ripartire più volte al giorno arrivando alla fine a centinaia di lanci di Starship ogni settimana. Inquinamento permettendo.
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