Calcio
April 22 2020
Ci sono due stati d'animo che accompagnano il calcio sospeso tra speranze di ripartenza e tentazione di fermare tutto. Il primo è legato alla convinzione di aver compiuto ogni passo possibile per rimettere in campo la Serie A e chiudere la stagione, limitando i danni. L'altro è la sgradevole sensazione che la lunga attesa possa uccidere anche la speranza e consumare quel poco di margine rimasto per dare un compimento a campionato e coppe. Attesa che si protrarrà anche oggi dopo gli stati generali del pallone, convocati dal ministroVincenzo Spadafora per farsi spiegare bene il protocollo medico scientifico scritto dalla Figc e che avrebbe dovuto fare da apripista alla ripresa degli allenamento lunedì 4 maggio. Ma non sarà così.
«Ho ascoltato con grande attenzione le diverse posizioni emerse e nei prossimi giorni, dopo un confronto con il Ministro della Salute e il Comitato tecnico scientifico, emaneremo le disposizioni aggiornate in merito alla possibilità e alle modalità per una ripartenza degli allenamenti» è quanto ha dettato il ministro dopo due ore di video conferenza. Formula in puro burocratese per spiegare che i tempi non sono ancora maturi e si va verso un rinvio. «Il Ministro è un ottimo palleggiatore» è la battuta che gira.
Quando? Il destino della Serie A e (forse) della Serie B sarà scritto e inserito nel Dpcm su cui sta lavorando Giuseppe Conte e nel quale troverà spazio anche lo sport. Tutto. Non solo il calcio di vertice. Il che significa dover attendere qualche giorno perché il Coni possa mandare a sua volta un protocollo valido per tutte le altre 44 federazioni e che copra non solo i 500 tesserati del massimo campionato di calcio ma oltre un milione di praticanti.
In fondo le società di Serie A se lo aspettavano e, dunque, l'ipotesi oggi che una ripartenza degli allenamenti possa scivolare di 7-14 giorni (fino al 18 maggio) non viene accolta come sfavorevole. Anzi. C'era chi temeva, collegandosi con il ministro, che arrivasse l'indicazione di uno stop definitivo e per usare una sintesi felice di uno dei protagonisti, l'ottimismo di chi vuole tornare in campo a tutti i costi è più di ieri anche se notevolmente meno di sabato scorso, giorno in cui la Figc ha inviato il protocollo al Governo nella convinzione di aver sbloccato una partita in realtà ancora aperta.
La confusione di Spadafora sui diritti del calcio in tv Ansa
C'è, però, una chiave di lettura che va tenuta in considerazione e non può lasciare sereno il partito del ritorno al calcio giocato. La variabile tempo comincia ad avere un peso determinante perché slittare la ripresa degli allenamenti a metà maggio significa compiere la stessa operazione per l'eventuale riavvio del campionato con le 124 partite mancanti (più Coppa Italia e coppe europee) pericolosamente destinate ad avvicinarsi alla data limite di fine luglio.
Il ragionamento dei presidenti è lineare: riaprire i centri sportivi e sobbarcarsi costi e rischi del riavvio della preparazione ha senso solo nel quadro di una road map condivisa con la politica che abbia come punto finale il via libera alla Serie A. Su questo, però, la posizione del ministro Spadafora è rigida: nessun automatismo. Al Senato ha precisato che lo sport deve ripartire ma anche che «gradualmente» si pensa a riaprire agli allenamenti, mentre per i campionati «valuteremo assieme al Comitato tecnico scientifico, consapevoli che questa ripartenza va assolutamente spinta ma tutelata nella salute di tutti i cittadini italiani». E qui i nuvoloni si addensano, almeno a giudicare dalle frequenti esternazioni pubbliche contrarie.
In 'Aspettando Godot' il grande Beckett non immaginò una bella fine per i suoi protagonisti. Ecco, il calcio italiano rischia di trovarsi nella stessa posizione, costretto tra l'obbligo di attendere il via libera del Governo (altrove dalla Bundesliga alla Liga si corre verso la ripresa) e la necessità di non peggiorare la propria situazione economica. Richiamare i calciatori e farli tornare ad allenarsi significa doverli pagare. Non farlo porta ad esporsi a cause da parte delle tv che già bussano alla porta. Sky ha messo per iscritto la sua stima dei tagli: non meno di 127 milioni di euro (ripartendo) il doppio in caso di stop con un danno potenziale per i club tra 200 e 440 milioni di euro.
La formula usata è quella della richiesta di sconto, ma arrivare allo scontro è l'evoluzione quasi fisiologica. Ci sono società che non reggerebbero quei numeri. Da qui le richieste di chiarimento girate alla Figc: cosa succede ai tagli degli stipendi se si riparte ma non si arriva alla ripresa del campionato? Chi garantisce che si possa comunque mettere mano alle buste paga da 1,5 miliardi con risparmi fino a 450 milioni? E se un giocatore contrae il Coronavirus chi ne risponde in termini penali? Davanti a una positività si ferma di nuovo tutto (e sarebbe il disastro completo)?
Troppi nodi, forse, perché si possano sciogliere in poco tempo. La Lega Serie A si è compattata per fronteggiare il nemico comune delle tv a caccia di sconto. E anche perché non poteva più permettersi di trasferire all'esterno l'immagine di un settore pronto a staccare la spina. Non prima che sia il Governo a imporlo oppure Uefa e Figc a determinarlo. Le lancette corrono veloci, però, con la sensazione che tutti attendano l'assist decisivo dal Coronavirus e da quelle maledette curve che ripiegano, ma molto lentamente. La fotografia è quella di uno stallo, un lungo surplace sempre più rischioso. Se non riparte, il calcio perde 800 milioni di euro e mette a rischio una parte importante del suo movimento di base. La diagnosi è chiara a tutti, per la prognosi si è scelto però di continuare ad aspettare.