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January 14 2016
Alcuni di loro hanno un bisogno edonistico e visualizzano il “bello”, la materia, la consistenza dei materiali. Annusano. La testa partorisce un’idea. L’occhio la deve vedere, le mani e le braccia la devono toccare, sentire. Spesso molti artisti usano degli elementi che entrano nell’opera in costruzione che servono per rafforzare un concetto, per esprimere il loro sentimento in modo più incisivo.
L’artista quando dipinge può provare paura. I tratti e i disegni non sono subito ideali. A volte ha bisogno di nascondersi per farsi cercare, per ritrovarsi, per esistere, per appartenere.
L’artista si palesa così, in controluce, va a scomparire nella sua stessa opera. Ogni artista è come l’inchiostro simpatico sull’opera che costruisce.
Fu Nanni Moretti, che in modo caricaturale disse: “Mi si nota di più quando ci sono o quando non mi presento o quando rimango in disparte, in silenzio, mentre attraverso le mie opere , mi mostro nudo?"
Fu Enrique Vila-Matas, uno scrittore spagnolo che dedicò alla scomparsa, nel suo romanzo Dott. Pasavento, l’intensità dell’esserci attraverso il non essere presenti. Come Mina esiste da sempre nella sua grandiosità come cantante, senza esistere come presenza. E’ ricercatissima nella sua assenza. Quanti hanno voluto sparire, bruciare le navi alle spalle, ma controllare compulsivamente la porta elettronica nella speranza che qualcuno ti possa cercare e senta la mancanza. Infatti ogni artista suggerisce: “Lasciatemi solo, ma non abbandonatemi mai”. Ci sono persino artisti che cercano i luoghi dove sparire. A Berlino ad esempio. E’ risaputo che l’isola occidentale nel cuore dell’Est sovietico fino al 1989 era lo spazio di chi non voleva la costrizione che c’era ad Ovest. Per questo molti edifici di Berlino sono abitati da artisti, senza tempo e senza fissa dimora, apolidi ma, anche molto italiani. Dipingono in spazi del vecchio mondo DDR, come gli elefanti cercano di appartarsi per morire . Questi artisti si appartano per risorgere. Si chiamano Peninsula. Sono come isole in cerca di una Penisola e sviluppano un fertile dialogo intergenerazionale. Spariscono, ma riappaiono in più mostre nel mondo.
Come un viandante errante, in questo sentiero di ricerca, mi sono imbattuta in questo mio peregrinare in un artista che mi ha incuriosito. Si nasconde in una realtà imprenditoriale, fatta di velocità, di business, di appuntamenti, di viaggi. E poi scompare nella sua solitudine nel suo atelier. Si isola in centro a Ferrara, nascosto nella dependance di sua suocera.
E’ lì che ha le radici del suo credo. La sua famiglia. La sua stabilità ed è per questo che si ritrova. Come J.D Salinger, che scompare in casa propria, dopo aver lasciato il mondo a baloccarsi con Il giovane Holden. Ci si può sparire in casa, ma solo se ti conosci bene e sai dove è la “luce” che ti fa ritrovare. Si chiama Paolo Ferrari l’imprenditore e artista ferrarese che cerca in casa sua la luce con le sue resine e le sue macchie e le sue tele “metameriche” che cambiano colore a seconda di dove le sposti. Da che punto di vista le guardi, da che “ luce prendono”.
Viaggia in tutto il mondo ma è lì, nel cuore di Ferrara che lui è lui. Raccogliendo i materiali che da Ferrara arrivano alla foce del Po: sabbie, resine, vernici. I legni che vengono trasportati fino al mare tentano di scomparire, svuotati dal sale e sbattuti dalle onde, sono leggeri, invisibili ai più, ma non all’occhio attento di Ferrari che li trova e li incornicia e li ferma per sempre nell’immaginario emozionale di chi li guarda. La percezione è il senso del bello, l’energia che si trasforma. E’ il sabotaggio di una solitudine sentita e piacevole, ma troppo intima per essere condivisa da tutti.
E’ come rientrare nel mondo dell’infanzia per tenere viva la fantasia, per questo occorre un luogo sicuro, protetto come la casa. Per tenere a bada la paura. Perdersi e ritrovarsi nell’abbandono. L’artista come lo scrittore lascia i suoi segni nei materiali che non muoiono, non scompaiono e si nutrono del “senso dell’immortalità”, nel plasmare un oggetto, che si riempie di vita e non soffre e rimane anche quando noi non ci saremo più. E’ una tregua a un “dolore mentale”, chi dipinge, chi scrive, chi disegna, chi crea, chi è uno stilista, artista, designer trova nutrimento nelle sue opere e nel trasferire il suo concetto, apparendo in una sua opera e fermando quell’istante. E’ un modo di trasferire e di essserci per sempre.