Spread: perché se aumenta ci rimettono le banche

Oltre a smaltire le sofferenze, le banche nei prossimi mesi dovranno risolvere un'altra grana: quella dell'esposizione al debito pubblico. Da maggio in poi i titoli di stato italiani sono tornati a innervosire i mercati, con la nascita del governo M5S-Lega: se manterranno le promesse elettorali (flat tax e reddito di cittadinanza), di sicuro i conti pubblici già fragili del nostro paese andranno in profondo rosso. Così i grandi investitori internazionali hanno iniziato a vendere i nostri titoli pubblici; anche qualche operatore di casa nostra ne ha approfittato per alleggerirsi, ma non il sistema bancario italiano nel suo complesso.

I Btp nel portafoglio degli istituti

Le banche italiane, in realtà, dal 2015 a oggi hanno scaricato quasi un terzo di tutti i Btp che avevano in portafoglio. Da inizio anno però sono tornate a comprare debito pubblico. Stando ai dati contenuti nell'ultimo documento "Banche e moneta" diffuso da Bankitalia, a fine maggio, quando lo spread è schizzato oltre i 250 punti base, i nostri istituti di credito detenevano 353 miliardi di euro in titoli di Stato italiani: sono 29 miliardi di euro in più rispetto ai 324 miliardi di euro di fine 2017. Lo stock è comunque inferiore al picco toccato nel maggio del 2015 (415 miliardi di euro).

Il report di Goldman Sachs

Qual è stato l'impatto dell'aumento dei rendimenti dei Btp sui bilanci delle banche? Hanno provato a calcolarlo a luglio gli analisti della banca americana Goldman Sachs: l'impennata di 100 punti base di spread a maggio ha rosicchiato 40 punti base alla solidità patrimoniale (Cet 1 ratio) delle grandi banche italiane quotate a Piazza Affari (UniCredit, Intesa Sanpaolo, UBI, Banco Bpm, Mps e Bper), che assieme posseggono circa 90 miliardi di euro in titoli governativi italiani.

In euro è una botta da 3 miliardi che cancella una parte del lavoro fatto dai principali istituti di credito dal 2015 a oggi per liberarsi dai crediti dubbi, grazie a un'operazione di 17 miliardi di euro. Senza contare che in Borsa il settore bancario, su cui pesa il rischio paese, dopo aver resistito per 5 mesi, ha perso nel solo mese di maggio oltre il 19% del proprio valore.

La malizia dei tedeschi

Ma perché i titoli di stato rappresentano oggi un concreto rischio per le banche italiane? A fare questa domanda è stato l'ex ministro delle finanze tedesco e attuale presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble. Lo scorso 13 giugno, poco dopo l'aumento dello spread, ha inviato una lettera alla presidente della vigilanza bancaria europea, la francese Danièle Nouy, per capire se gli aumenti nei tassi dei titoli di Stato italiani siano incorporati negli stress test della Bce, se gli scenari previsti negli esami dei conti degli istituti considerassero un'uscita dell'Italia dall'euro e, addirittura, a quale tasso dei Btp le banche italiane sarebbero dichiarate in dissesto.

La risposta della Bce

Nouy nella risposta ha ricordato all'ex ministro del Tesoro tedesco che esistono linee guida Eba per determinare se una banca è in dissesto e che i titoli governativi in portafoglio sono solo uno degli elementi di vulnerabilità: la prassi della vigilanza prevede infatti "un'analisi complessiva degli elementi oggettivi sia qualitativi sia quantitativi, che considerano tutte le altre circostanze e informazioni rilevanti sulla banca".

Dato il numero di fattori da considerare al momento della valutazione, per la Bce a oggi "non è possibile determinare ex ante un livello dei rendimenti dei titoli di Stato in cui le banche fallirebbero o rischierebbero di fallire o sarebbero una minaccia per la stabilità finanziaria". Nouy ha osservato inoltre che dopo la crisi del debito sovrano del 2011 le banche europee (italiane comprese) hanno aumentato il loro livello di resistenza agli shock sui mercati e che i test della Bce considerano "un significativo allargamento degli spread" e si basano su una valutazione dei rischi attuali.

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