Economia
November 21 2013
di Gustavo Piga*
Studi scientifici sugli appalti pubblici di beni e servizi parlano di un ammontare di sprechi di «prezzo» (compri a un prezzo troppo alto) dell’ordine di 30 miliardi, il 2 per cento del Pil. A questi andrebbero sommati gli sprechi di quantità (compri troppo rispetto ai tuoi fabbisogni) e gli sprechi nel mondo dei lavori pubblici. Una fetta di risorse decisiva per finanziare lo sviluppo di investimenti pubblici in ricerca e infrastrutture, oppure nella riduzione della pressione fiscale. Diventa decisivo, per eliminare questi sprechi, risalire alla loro fonte: a cosa sono dovuti?
Gli stessi studi forniscono questa risposta sorprendente: il 17 per cento alla corruzione, l’83 per cento a inefficienze e incompetenza nella regolazione e gestione degli appalti. Un risultato che cozza solo fino a un certo punto contro lo stereotipo del Paese preda della corruzione. Primo perché il 17 per cento di 30 miliardi, 5 miliardi circa, è pur sempre enorme; secondo perché non è detto che dentro quell’83 per cento di incompetenza e inefficienza non si celi di nuovo corruzione (il funzionario incompetente è stato messo lì apposta per non vedere). È da queste risultanze che dobbiamo inevitabilmente partire per comprendere come combattere tali sprechi. Con pazienza, determinazione, continuità, risorse. Già perché anche nel campo della lotta agli sprechi non ci sono pasti gratis: si vince e li si sconfigge solo investendo risorse. In cosa?
Prima di tutto, in qualità dei funzionari pubblici. Come le multinazionali fanno da decenni per recuperare competitività a livello globale, così alcuni governi hanno cominciato a considerare gli acquirenti pubblici come una risorsa strategica all’interno della classe dei civil servant, remunerandoli e attraendoli con prospettive di carriera basate sui risultati di notevole attrattività economica. Per ottenere questo risultato in Italia dovremmo cominciare con il ridurre il numero di stazioni appaltanti, ben superiori a 10 mila. Dal 2006 una legge richiede che i comuni con meno di 5 mila abitanti si aggreghino nel fare gare: nulla è accaduto. Eppure, ne basterebbe una per ogni provincia, controllabili dalle ragionerie periferiche dello Stato. Dove andrebbero a lavorare acquirenti pubblici esperti, selezionati per concorso dal settore privato, ben pagati e attentamente valutati. Perché il controllo funzioni al centro sarà poi necessario investire sui dati, ovvero avere una piattaforma centrale dove tutte le (rimanenti) stazioni appaltanti facciano le loro gare, così da avere contezza in tempo reale del loro esito e bloccarle per una verifica se appaiono sospette. Certo, questo presume anche competenza nell’audit e nei controlli. Rimane poi la decisiva lotta alla corruzione. Sarà necessario rafforzare di personale e competenze la nuova autorità anticorruzione, oggi in stato comatoso: non pare una priorità di questo governo e ciò è drammatico per l’impatto che genera nel Paese, sulle aspettative dei cittadini onesti e disonesti.
Ma un’autorità anticorruzione può far poco da sola, ha bisogno di rinforzi. Noi sappiamo che la corruzione, nelle gare d’appalto, ha due compagni di viaggio: la criminalità organizzata e i cartelli di imprese. Ecco perché sarebbe essenziale investire in una squadra ampia di ispettori presso l’Antitrust e la Direzione investigativa antimafia esclusivamente dedicati a monitorare gli appalti assieme all’autorità anticorruzione. A oggi, in 22 anni di esistenza, l’Antitrust ha aperto 22 istruttorie soltanto su appalti: una l’anno! Lo spreco negli appalti, questa cancrena che abbatte il Paese, la sua competitività, il suo morale, la sua voglia di riemergere, è un nemico fragile che, come il signore nero, Lord Voldemort, nella saga di Harry Potter, si nutre delle nostre debolezze. È ora che ci uniamo tutti insieme per sconfiggerlo, certo. Ma la passione civile non basta, dobbiamo andare in guerra, armati di strumenti idonei. La bacchetta magica che ci farà vincere ha un solo nome: investimento in qualità e organizzazione degli appalti. Aspettiamo da questo governo un segno di vita al riguardo.
*professore di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, ex presidente Consip