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February 05 2019
Gli altri lavorano, in Italia si chiacchiera e ci si perde tra mille ostacoli burocratici, polemiche e veti incrociati. L'annuncio del sindaco di Roma, Virginia Raggi, che lo Stadio della Roma si farà e i cantieri potranno aprire entro la fine del 2019 apre alla speranza che la storia ormai infinita del progetto di Tor di Valle possa finalmente avere un'accelerazione in un quadro altrimenti sconfortante per il calcio italiano.
Siamo rimasti indietro rispetto a tutti. Non solo le big europee, ma anche i nuovi ricchi che dal 2009 hanno cominciato ad investire in infrastrutture facendo progetti, finanziandoli e realizzandoli in tempi brevi. Qualche esempio? Negli ultimi dieci anni le nazioni che hanno portato a termine il maggior numero di stadi nuovi sono Polonia e Turchia. L'Italia non compare nelle prime dieci della classifica e, secondo gli standard di uno studio Uefa che si spinge fino al 2018, può presentare le sole novità dell'Allianz Stadium della Juventus e della Dacia Arena dell'Udinese.
Eppure restiamo una delle Big5, le cinque leghe più importanti del Vecchio Continente, insieme Premier League, Bundesliga, Liga e Ligue1. Un primato che non affonda di sicuro nella capacità di investire sulle infrastrutture e sul futuro. Il ritardo che abbiamo accumulato in questi dieci anni si somma a quello precedente e produce un sistema che brucia centinaia di milioni all'anno di potenziali ricavi perché non in grado di attrarre e mantenere il suo pubblico.
I numeri sono impietosi. Negli ultimi dieci anni in tutto il mondo sono stati registrati 495 progetti depositati per impianti sportivi costruiti ex novo, oppure ricostruiti nel luogo dove sorgevano precedentemente o - ancora - profondamente rinnovati. Arene con almeno 5.000 posti a sedere, non solo dedicate al calcio.
In Europa se ne contano 235 di cui 221 legate al calcio che ha fatto la parte del leone davanti al rugby. Gli stadi completati a inaugurati sono stati 159 con una crescita notevole nell'ultimo triennio (53 impianti dal 2016) grazie alla spinta del Mondiale assegnato alla Russia. Non è un mistero che le grandi manifestazioni siano il vero motore per gli investimenti, pubblici e privati.
Di questi 159 stadi, l'Italia ne ha aperti solo 2: l'Allianz Stadium di Torino, costato alla Juventus 155 milioni di euro nel 2011, e la Dacia Arena sorta sulle ceneri del Friuli di Udine, inaugurata nel 2016 dopo un investimento di circa 30 milioni di euro. Il resto si è perso tra rendering, progetti, presentazioni, iter burocratici e difficoltà finanziarie.
Il ritorno del Frosinone in Serie A permette di aggiungere anche il nuovo Benito Stirpe (inagurazione 2016), costato al club ciociaro 20 milioni di euro. L'altro esempio virtuoso di ristrutturazione legata alla proprietà privata è quella del Mapei Stadium del Sassuolo. Ma siamo lontani anni luce dalle best practices europee.
La vea sorpresa è che in testa alla classifica di chi si è mosso nell'ultimo decennio non ci sono le solite note (Inghilterra e Germania), ma le nazioni che premono alle spalle per entrare nell'elite del calcio europeo.
Polonia (27 impianti nuovi) e Turchia (26) sono sui gradini più alti del podio e hanno generato complessivamente 1,3 milioni di posti in impianti di ultima generazione. Poi c'è la Germania (16) che non ha lasciato cadere l'onda lunga del Mondiale del 2006, tornerà ad ospitare l'Europeo nel 2024 e sta già pensando agli stadi di terza generazione. Quindi Russia (16 di cui 9 nel solo 2017 alla vigilia del Mondiale), Inghilterra (12), Francia (9 grazie all'Europeo del 2016), Ungheria (7), Ucraina (5) e Svezia (4).
Negli ultimi due anni c'è stato il prevedibile boom della Russia, ma a muoversi sono state soprattutto Turchia e Ungheria. Il nuovo che avanza e che ha in cantiere due dei quattro impianti attesi all'apertura in tempi rapidi: la Puskas Arena di Budapest (lavori iniziati nel 2017) e lo Stadio di Ankara. A questi si aggiungono il gioiello del Tottenham a Londra, con ritardi e polemiche nel completamento, e quello del Feyenoord a Rotterdam.