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February 05 2013
L’ultima polemica è datata 23 gennaio, quando la scelta del ministero dei Beni culturali di erogare non meglio quantificate «risorse aggiuntive» a favore della Scala di Milano ha mandato su tutte le furie gli altri teatri lirici italiani. A protestare sono stati soprattutto il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che è anche presidente della Fenice, e Bruno Cagli, che guida l’Accademia di Santa Cecilia a Roma, da sempre impegnata in una sorta di derby dell’eccellenza musicale con il teatro meneghino.
Dall’inizio del 2013, però, il malumore contagia tutti i 14 palcoscenici cui è riservato lo status di fondazione. I contributi del Fus, il Fondo unico per lo spettacolo, sono calati nell’ultimo ventennio da 900 a 262,4 milioni annui. E anche se alla lirica spetta la fetta più grossa delle erogazioni, l’equilibrio dei conti resta precario, come dimostrano gli ultimi bilanci disponibili (al 2011). I motivi? I costi degli allestimenti sono esplosi, la crisi scoraggia il pubblico, gli enti locali, con qualche eccezione, stringono i cordoni della borsa.
È vero che nel resto d’Europa i finanziamenti pubblici alla lirica in rapporto al pil sono il quadruplo di quelli italiani. Ma è anche vero che le gestioni si sono rivelate assai poco manageriali: cartelloni ridottissimi, spazi inutilizzati, scarsa capacità di diversificare le fonti di ricavo e organici troppo onerosi hanno portato a deficit milionari e in alcuni casi, dal Petruzzelli di Bari fino al Maggio musicale fiorentino, dove si è appena dimessa la sovrintendente Francesca Colombo, alla necessità del commissariamento.