bombardiere B1
(Us Air Force)
Difesa e Aerospazio

Così gli Stati Uniti hanno colpito in Iraq e Siria

La risposta americana all'attacco della scorsa settimana alla base Tower 22 in Giordania è arrivata ieri: il Centcom, Comando generale delle forze Usa, ha confermato lo svolgimento di diverse missioni in territorio iracheno e siriano, su un totale di 86 obbiettivi - raggruppati in sette luoghi diversi, quattro in Siria e tre in Iraq - riconducibili a postazioni delle milizie legate all’Iran e alla Guardia rivoluzionaria di Teheran, i Quds. In tutto trenta minuti circa d'inferno proveniente dal cielo, un tempo limitato sia per il tipo di attacco, sia a causa delle condizioni meteorologiche marginali lungo la rotta di rientro degli aeroplani. Ma la reazione americana all'attacco di Tower 22, che lo ricordiamo è in territorio giordano, ma che ha causato la perdita di tre cittadini statunitensi, è stata la 165ima base Usa attaccata nella regione tra Iraq e Siria dal 7 ottobre, inizio della guerra tra Israele e Hamas, con azioni effettuate sempre da parte delle milizie dei due paesi legati all'Iran.

Secca la dichiarazione del presidente Biden: “La nostra risposta è iniziata oggi. Continuerà nei tempi e nei luoghi di nostra scelta”. Da quanto emerge sarebbero state sganciate in totale 125 bombe attorno alla mezzanotte di ieri, utilizzando anche bombardieri a lungo raggio decollati da basi negli Stati Uniti, alcuni dei quali erano i B-1 Lancer, coadiuvati da droni MQ-9 Reaper. Una scelta tattica molto precisa che impedisce a qualsiasi nemico appostato nelle vicinanze delle strutture militari Usa nell'area mediorientale di avvertire la catena di comando riguardo ad attività delle forze in preparazione all'attacco. Si tratta quindi di un tipo di attacco meno prevedibile, sempre compiuto per mezzo di bombe convenzionali unitamente a quelle ad alta precisione che necessitano di un puntamento laser che può avvenire sia da un drone in volo, sia da un velivolo designatore, oppure da terra ma giocoforza da una distanza relativamente ravvicinata.

Difficile conoscere con esattezza da quali basi Usa siano decollati i B-1, ma con tutta probabilità essi arrivavano dal Texas (Dyess) e dal Nord Dakota (Ellsworth e Grand Forks). Gli obiettivi della scorsa notte hanno incluso anche operazioni di comando e controllo, centri d'intelligence, depositi di razzi e di missili, strutture logistiche e della catena di approvvigionamento di munizioni. Quanto alla forza Quds del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica iraniana e i gruppi di milizie affiliati, come dichiarato dal Centcom attraverso i canali social, essi continuano a rappresentare una minaccia diretta alla stabilità dell’Iraq, della regione e alla sicurezza degli americani.

Dai primi rapporti emessi dall'Osservatorio siriano per i diritti umani gli attacchi avrebbero causato la morte di almeno 18 combattenti filo-iraniani nella Siria orientale, mentre altri sarebbero deceduti nei 26 siti colpiti che ospitavano gruppi filo-iraniani, come i depositi di armi, e nelle 17 postazioni armate della provincia orientale di Deir ez-Zor. Poco si sa invece delle vittime dei tre attacchi contro i siti di al-Mayadeen e Albu Kamal, vicino al confine iracheno, a proposito dei quali la France-Presse comunica la presenza di feriti. Attualmente gli Usa hanno ancora 2.500 soldati schierati in Iraq e ai circa mille dislocati in Siria, dove però non ci sono accordi con il governo di Damasco che prevedano la loro presenza. Da qui la necessità di proteggerli mirando ad azzerare le risorse belliche nemiche. Un lavoro che non si può fare in una sola notte, ed ecco quindi il senso delle parole di Lloyd Austin, ministro della difesa statunitense, il quale ha sottolineato che sono previsti ulteriori bombardamenti: “Questo è l’inizio della nostra risposta”, ha detto, “il presidente ha autorizzato ulteriori azioni contro la Guardia rivoluzionaria iraniana e quelle che definisce le milizie affiliate responsabili dei loro attacchi contro gli Stati Uniti e le forze alleate.” Il tenente generale Douglas Sims, direttore delle operazioni dello staff congiunto, ha affermato: “Le indicazioni iniziali sono che abbiamo colpito esattamente ciò che intendevamo neutralizzare con una serie di esplosioni secondarie associate alle munizioni e alle posizioni armate coinvolte”, ma ciò non può essere verificato con certezza al momento a causa della nuvolosità che impedisce i rilievi fotografici satellitari. Bisogna quindi aspettarsi altre missioni per i B-1 Lancer, velivoli supersonici la cui efficacia è stata dimostrata nelle operazioni militari compiute dal 1992 a oggi. Ogni esemplare costa circa 750 milioni di dollari, ha capacità di volo supersonico e presenta una caratteristica tecnica particolare: l'ala è del tipo a geometria variabile, ovvero può ruotare aumentando e diminuendo l'angolo di freccia (verso la parte posteriore dell'aeroplano). Consegnato a partire dal 1986, fu prodotto nel biennio 1973-74 e poi dal 1983 al 1988 per un totale di 104 esemplari. Non si tratta quindi di un velivolo dell'ultima generazione, sebbene negli siano stati intrapresi diversi programmi di ammodernamento riguardanti, in particolare, la strumentazione elettronica di bordo, tra i cui apparati ci sono anche i sistemi di puntamento degli obiettivi, racchiusi nel grande radome (copertura a cono) della coda. Quattro le persone a bordo, due piloti e due operatori dei sistemi d'arma.

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