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December 27 2017
Gli Stati Uniti avevano tuonato "ricorderemo questo voto" dopo lo schiaffo dell'Onu su Gerusalemme, con 128 Paesi che hanno bocciato la decisione americana di riconoscere la città come capitale di Israele e ivi trasferire l'ambasciata.
Dalle minacce ora passano ai fatti: gli Usa taglieranno i fondi alle Nazioni Unite di 285 milioni di dollari per il 2018-2019.
Ecco cosa è successo e le possibili conseguenze.
Il malumore dell'amministrazione Trump verso l'Onu non nasce nelle ore recenti. Sin dall'inizio del suo mandato il tycoon aveva mosso la sua battaglia contro l'Onu, definendolo non "all'altezza del suo potenziale" e "uno spreco di tempo e di soldi". In effetti le inefficienze che da tempo percorrono le Nazioni Unite sono in parte ammesse dai suoi stessi leader e dagli Stati membri.
Per la Casa Bianca il voto contrario dell'Assemblea generale su Gerusalemme capitale è solo la palla da cogliere al balzo. Ecco quindi l'ennesimo annuncio spiazzante da Washington: i fondi all'Onu saranno ridotti, con un taglio di 285 milioni di dollari per il 2018 e il 2019. "Non consentiremo più che ci si approfitti della generosità americana", chiosa Nikki Haley, l'ambasciatrice statunitense all'Onu. "Continueremo a valutare modalità per migliorare l'efficienza dell'organismo tutelando i nostri interessi". Rimane quindi aperta la possibilità di future ulteriori riduzioni dei contributi americani.
Questa decisione rientra nella politica di Trump chiamata "America first", l'America prima di tutto. "Risparmieremo molti soldi", aveva già dichiarato Trump.
Tra i Paesi fedeli agli americani e speranzosi di ricavare da questa fedeltà vantaggi economici e aiuti, il Guatemala, che avevato votato a favore degli States, ha intanto annunciato che sposterà la sua ambasciata a Gerusalemme, sulla scia di Washington.
Il finanziamento versato all'Onu è legato alla grandezza economica degli Stati membri. Gli Stati Uniti sono il più grande contributore, seguiti da Giappone, Cina, Germania, Francia e Regno Unito. Gli Usa sono responsabili del 22% del budget operativo dell'Onu.
Per il budget 2016-2017 hanno versato 1,2 miliardi di dollari su un totale di 5,4 miliardi. Anche per le operazioni di peacekeeping dell'Onu gli Usa sono il Paese che versa di più, ovvero una quota del 28,5% su un totale di 6,8 miliardi di dollari per il 2017-2018.
L'amministrazione Trump non è la sola a preoccuparsi dei costi dell'Onu. António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite entrato in carica poco prima del presidente statunitense, ha promesso di portare efficienza e riforme alla burocrazia dell'organizzazione.
Bathsheba Crocker, che sotto la presidenza Obama ha diretto l'ufficio del Dipartimento di Stato responsabile di organizzazioni internazionali come l'Onu, tiene a precisare su Twitter che da sempre gli States e gli altri Paesi membri lottano per ridurre i costi: "È tutto così fuorviante. Gli Stati Uniti ogni anno combattono duramente, insieme ad altri Paesi, per tagliare il bilancio delle Nazioni Unite e regolarmente lo fanno. Questa non è né una nuova né una 'decisione' degli Stati Uniti".
This is all so misleading. The US fights hard, together with other countries, every year to cut UN budget & regularly does. This is neither new nor a US “decision.” https://t.co/HVB6WsJHXx
Bathsheba Crocker (@shebacrocker) 26 dicembre 2017
Con le dichiarazioni della Haley e il taglio subito successivo alla sgradita risoluzione Onu, è chiaro comunque che Trump voglia mostrare i muscoli ed esercitare la forza finanziaria americana all'Onu in modo che le proprità e le richieste a stelle e strisce siano rispettate.
Già l'inquilino della Casa Bianca aveva mostrato allergia agli organismi internazionali uscendo dall'Unesco. Non è da escludere in futuro un altro taglio per le missioni di pace.
Negoziati sul bilancio delle Nazioni Unite erano comunque in corso da mesi. La pressione degli Stati Uniti - secondo la testimonianza di un funzionario americano - avrebbe contribuito a portare tagli alle missioni di pace in Darfur e Haiti, liberando denaro per creare un nuovo inviato speciale per il Myanmar per concentrarsi sul ritorno dei Rohingya nelle loro case.