In Italia stipendi ancora bassi ma la strada del governo è quella giusta

Stipendi sempre più bassi e potere d’acquisto in diminuzione. Questo il quadro che viene dipinto dall’Istat, nel suo ultimo rapporto annuale, sui lavoratori italiani. A differenza dell’Ue, dove il potere di acquisto delle retribuzioni nel 2022 è cresciuto in media del 2,5%, rispetto al 2013, in Italia si è registrata una diminuzione del 2%. Tra i paesi membri la Spagna mostra un andamento simile al nostro con una contrazione del 2,8%, mentre in Francia e Germania il potere di acquisto è aumentato, rispettivamente del 3 e 5,6%. In termini di retribuzione media annua lorda, in Italia, risulta essere, per i dipendenti, pari a quasi 27 mila euro, inferiore di circa 3,7 mila euro rispetto a quella dell'Ue 27 (-12%) e di oltre 8 mila se confrontata con i livelli della Germania (-23 %).

Nel nostro Paese inoltre la crescita delle retribuzioni lorde annue è risultata essere di circa il 12% nel 2022. In Ue la crescita è stata in media del 23%. Ancora una volta la Spagna mostra una dinamica simile a quella italiana (+11,8%), mentre la Francia (+18,3%) e la Germania (+27,1%) sono decisamente più positive. Poco cambia nel 2023. Nei primi cinque mesi dell’anno, l’Istat ha osservato un incremento medio delle retribuzioni contrattuali, fino ad aprile, contenuto (2,2%).

Lo scarso aumento dei salari si inserisce anche in un discorso di produttività aziendale. Nel confronto con i partner europei, le imprese italiane si caratterizzano infatti per avere per una debole crescita nella produttività. In questa situazione, per difendere il vantaggio competitivo di prezzo, diventa prioritario per le imprese mantenere una crescita salariale moderata, aspetto che si è verificato in Italia. I dati Eurostat mostrano infatti che nel nostro Paese la crescita nominale dei costi medi del personale nel decennio considerato (2011- 2022) è stata inferiore a quella nominale della produttività, tanto per il totale delle imprese, quanto per il solo settore manifatturiero. Questa evidenza è in netta contrapposizione con quanto si osserva invece in Francia e Germania, che hanno registrato una crescita in termini nominali dei salari superiore a quella della produttività.

Un quadro quello dipinto dall’Istat che mostra ancora una volta, la debolezza dei lavoratori italiani, rispetto a quelli del resto dell’Ue. Un aspetto molto importante in questo caso è la tassazione in busta paga a carico del lavoratore e del datore di lavoro. Abbassare la pressione fiscale risulta essere un punto fondamentale. Il governo Meloni ha iniziato a percorrere questa strada con il decreto Lavoro dove ha introdotto il taglio al cuneo fiscale, da luglio fino a dicembre 2023, di quattro punti percentuale per i redditi fino a 35 mila euro. Taglio che dunque porterà ad una riduzione complessiva del 7% per i lavoratori con redditi fino a 25 mila euro e del 6% per quelli con redditi fino a 35mila euro. Misura che il governo vorrebbe rendere strutturale e non più solo temporanea. In aggiunta a ciò la delega fiscale, che dovrebbe essere votata prima della pausa estiva, contiene anche un capitolo relativo alla detassazione delle 13me, dei premi di produttività e degli straordinari oltre che l'introduzione di agevolazioni per chi assume nuove figure in azienda. Passi che se concretizzati aiuteranno i lavoratori, in un momento dove l’inflazione rallenta molto lentamente e i tassi continuano a salire. Le stime della Bce, vedono un ritorno al 2% solo nel 2025.

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