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June 21 2019
La strage degli innocenti non è soltanto quella raccontata nel Vangelo secondo Matteo, duemila anni fa. Avviene anche nell’anno del Signore 2019. E in Italia. In un sobborgo di Napoli. In un paesino vicino a Cassino. Alla semiperiferia di Milano. A Novara. È davvero la strage degli innocenti, l’ecatombe dei bimbi: bimbi piccoli, uccisi dalle loro stesse famiglie; da padri e da madri a volte con storie di droga e alcol, da genitori irascibili e violenti, o comunque acquiescenti e complici, che strangolano i figli oppure li picchiano fino a farli morire.
I moventi sono assurdi, demenziali, abietti: quei poveri figli piangevano, si lamentavano, davano fastidio, impedivano il sonno dei grandi o la loro intimità sessuale. A Milano non è morta solo per un miracolo la bimba egiziana di tre anni, che i due genitori riempivano di botte e chiamavano «scimmia» solo perché disabile, progettando di avvelenarla perché disturbava e piangeva sempre. Ma le botte a volte non hanno nemmeno un perché, come pare sia stato nel caso di Tony Essobti Badre, nato 24 anni fa in Italia da genitori tunisini. A Cardito, un comune di 22 mila abitanti a nord di Napoli, alla fine di gennaio Badre ha ucciso Giuseppe, 7 anni, secondo figlio della sua compagna, bastonandolo con un lungo manico di scopa. Con la stessa arma l’uomo ha massacrato la primogenita di 8 anni, Noemi, poi salvata in ospedale. Dalla strage ha escluso solo la sua vera figlia, terzogenita della coppia. A Cardito, come spesso capita in questi casi, dietro il portone nero del palazzo scrostato i vicini oggi raccontano delle frequenti urla disperate che uscivano dalle finestre della famiglia imperfetta. Ma anche a scuola, l’elementare «Salvatore Quasimodo», le maestre erano consapevoli che i bambini venivano maltrattati.
Intercettata nella sala d’aspetto del commissariato, in attesa dell’interrogatorio, un’insegnante mormorava: «Tutti i giorni venivano con il volto tumefatto: la sorellina è arrivata con un pezzo d’orecchio mancante». Qualcuno aveva anche segnalato la situazione alla preside, ma non era servito. Ora Tony è in carcere, accusato di omicidio volontario aggravato. Ma intanto Giuseppe è per sempre al buio, in una piccola tomba. È stata arrestata anche sua madre, Valentina Caso, 30 anni, che pure aveva raccontato di aver tentato di fermare il compagno, e aveva giurato di essere poi crollata in una trance psicofisica durata fino alla morte del figlio: due-tre ore nelle quali Valentina sosteneva di essere rimasta paralizzata, incapace di capire l’agonia di Giuseppe. L’accusa sostiene che in realtà la donna abbia contribuito alla morte del figlio evitando di chiamare i soccorsi e abbia cercato di coprire il compagno addirittura nascondendo le ciocche di capelli strappati alla figlia.
Poi c’è stata la sequenza sconvolgente di aprile-maggio. Primo atto del dramma: l’uccisione di Gabriel Feroleto, 2 anni, strangolato a Piedimonte San Germano, un paesino vicino a Cassino, dalla madre ventottenne, Donatella Di Bona. Lo schema è lo stesso della storiaccia di Cardito, ma invertito: qui il padre, Nicola Feroleto, 48 anni, che pure inizialmente aveva giurato di essere arrivato troppo tardi per salvare il figlio, è stato poi arrestato per complicità con la moglie. Donatella aveva inventato la storia di un’auto pirata che in strada aveva travolto il figlio, ma ha finito per confessare di averlo strangolato perché piangeva mentre lei e il compagno volevano fare sesso in una strada di campagna: «Per farlo stare zitto gli ho stretto le mani intorno al collo e gli ho tappato la bocca».
Il secondo atto ha i capelli biondi di Mehmed, due anni e mezzo, ucciso a Milano dal padre Aljica Hrustic, un croato venticinquenne. Nel palazzone bianco di via Ricciarelli, sofferente semiperiferia milanese per paradosso così vicina all’elegante quartiere di San Siro, vivevano in quattro in un misero trilocale occupato abusivamente: camera, cucinino e bagno con finestra sul ballatoio, i vetri rattoppati con gli asciugamani. «Non riuscivo a dormire» ha confessato Aljica «così mi sono alzato e l’ho picchiato». Non si sa se Mehmed stesse piangendo. La madre, Silvijia, una 23enne croata con precedenti per furtarelli e borseggi, ha dichiarato tra le lacrime: «Ho provato a fermarlo, ma ha picchiato anche me». Dopo quelle due maledette ore di violenza, Hrustic ha preso le altre due figlie (il quarto della coppia, il maggiore, vive in Croazia con gli zii), è uscito di casa e prima di fuggire ha chiamato il 112: «Venite subito, mio figlio non respira bene».
Poliziotti e infermieri non dimenticheranno facilmente la scena che si sono trovati davanti: Silvijia, incinta di un quinto figlio, ninnava ossessivamente Mehmed, ormai senza vita e con i piedini fasciati per le ferite subite nei giorni precedenti. Il corpo del bimbo era coperto di lividi, non tutti provocati dall’ultimo raptus del padre. «Era già successo» ha ammesso lei: «Quando mio marito fuma hashish va fuori di testa. Perde il controllo». I vicini, dopo aver fatto a lungo finta di non sentire le grida che uscivano dal trilocale dei croati, oggi chiacchierano e raccontano di altre dipendenze. Dicono che Hrustic vagasse spesso nel condominio, ubriaco e fatto di droga, pronto a tirare pugni e calci contro il contatore del gas cui non riusciva ad allacciarsi, o contro il primo malcapitato.
Il terzo atto è il corpo martoriato di Leonardo, 20 mesi appena, che secondo l’accusa è stato ucciso in una casa alla periferia di Novara dai suoi genitori: Nicholas Musi di 23 anni e Gaia Russo di 22, incinta di un secondo figlio. Interrogati in ospedale, dove avevano portato il bimbo in fin di vita, i due avevano parlato di una caduta dal lettino. In realtà, a provocare la morte del bambino è stata un’emorragia al fegato, causata da percosse.
Il medico legale ha trovato lesioni sul capo, sul torace, sulla schiena, persino sui genitali di Leonardo. Interrogati, i suoi genitori sono rimasti freddi. «Lui mi ha detto che aveva la coscienza pulita» ha rivelato il pubblico ministero Ciro Caramore: «Una frase che, col senno di poi, mi pare agghiacciante». In base ai test tossicologici, Nicholas aveva assunto cocaina e cannabinoidi, ma non ci sono prove fosse sotto effetto di droghe quando Leonardo è stato picchiato e ucciso. La mamma era «pulita». Ora lui è in carcere, lei è in una struttura protetta solo perché incinta. Gli inquirenti hanno scoperto che Leonardo era già stato portato al pronto soccorso in aprile: «È stato morsicato da un cane» avevano detto i suoi genitori. Oggi si pensa che non fosse vero. Lo psichiatra Massimo Ammanniti sottolinea l’età delle vittime: «Sono tutti bimbi intorno ai due anni» dice. «È il momento in cui un neonato, che va solo nutrito e pulito, diventa un essere umano che si muove, cammina, fa richieste». La sua spiegazione è che, alla prima prova, i genitori di Mehmed, Gabriel e Leonardo non abbiano retto.
Ammanniti parla di padri e madri «che non sono veri adulti, ma adultescenti», privi della minima idea di che cosa sia davvero fare i genitori. Dice Daniela Missaglia, avvocato milanese ed esperta di diritto di famiglia, autrice del recente Crimini d’amore, saggio coraggioso sulle violenze intrafamiliari: «In un mondo dove basta un disegno equivocato all’asilo per allertare battaglioni di assistenti sociali, persino a sproposito, queste drammatiche realtà sfuggono e fanno notizia quando è troppo tardi». Concorda Francesco Morcavallo, oggi avvocato a Roma, ma dal 2009 al maggio 2013 giudice presso il Tribunale dei minorenni di Bologna: «Questi drammi» dice «sono il segnale che il sistema non funziona. Servizi sociali e tribunali minorili si occupano di decine di migliaia di casi, spesso sottraendo alle famiglie bambini in maniera indebita: distratti, troppo spesso si lasciano poi sfuggire i casi di vero pericolo, le vere emergenze». L’altro problema riguarda le mogli di mariti violenti: «Se sono madri» ricorda Morcavallo «hanno un problema in più a denunciare il compagno: la paura di vedersi sottrarre i figli». La strage degli innocenti nasce anche da qui.
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