40 anni fa la strage di Bologna e i soccorsi (storia e foto)
Alle 10:25 del 2 agosto 1980 Bologna subisce l'attentato terroristico più grave dal dopoguerra, che costa la vita a 85 innocenti e segnerà l'esistenza di oltre 200 persone rimaste ferite. I soccorsi, seppure estremamente difficili per l'elevato numero dei coinvolti e per il pericolo rappresentato dal crollo di un'intera ala della stazione furono svolti e coordinati in modo esemplare nonostante i limiti dell'epoca. Due testimonianze raccontano perché la strage di Bologna rappresentò un punto di svolta nel campo delle maxi-emergenze sanitarie.
Bologna anno zero. Il dottor Stefano Badiali
La mattina del 2 agosto 1980 in piazza delle Medaglie d'Oro l'aria è afosa. La stazione ferroviaria che si affaccia sul piccolo rondò brulica di passeggeri, ferrovieri, tassisti, facchini. C'è molto movimento: è un periodo in cui molti vanno e altrettanti tornano dalle ferie. Sul primo binario sosta in attesa di ripartire il treno straordinario 13534 Ancona-Basilea, pieno di emigranti che facevano ritorno dalle vacanze passate nei luoghi di origine. All'improvviso alle 10:25 un lampo arancione seguito da un boato cupo e assordante ferma il tempo e la storia di Bologna e di tutta l'Italia, proprio come le due lancette dell'orologio diventate il simbolo della più sanguinosa strage terroristica dal dopoguerra. Il fumo e la polvere ricoprono la stazione come un sudario grigiastro per istanti che paiono interminabili. Gli effetti dell'esplosione di 23 chilogrammi di una miscela micidiale di T4, tritolo e nitroglicerina nascosti in una valigia nella sala d'aspetto di prima classe lasciano sotto le macerie ottantacinque morti. Quando la polvere si posa, la scena è raccapricciante. Non si sono soltanto i morti straziati dalla bomba ma anche più di duecento feriti da soccorrere subito, molti dei quali in gravissime condizioni o intrappolati dalle macerie. L'impresa appare disperata ma i soccorsi si attivano immediatamente e la prima ambulanza è di fronte alla stazione sventrata appena due minuti dopo l'esplosione.
Il dottor Stefano Badiali, bolognese, si trova in città quella maledetta mattina. Si è da qualche mese specializzato in anestesia e rianimazione ed è organico all'ospedale Maggiore. Badiali ha inoltre esperienza sulle ambulanze della città di Bologna, dove presta servizio già da nove anni come volontario in Croce Italia, un'associazione di pronto intervento nata nel 1971. E sulle ambulanze lavora anche quando è di servizio al Maggiore, sui mezzi adibiti al trasporto inter-ospedaliero dei pazienti critici.
Quando scoppia l'ordigno nella stazione, il medico si trova negli uffici del Comune di Bologna, dove apprende le prime vaghe notizie sulla tragedia. Si precipita verso il primo apparecchio telefonico disponibile e compone il numero del CePIS, il centro di coordinamento delle ambulanze del Maggiore attivo dal 1974. La linea è miracolosamente libera e la risposta dei colleghi non lascia dubbi: a poca distanza si stava consumando un dramma la cui entità era ancora sconosciuta, ma il presagio era di certo infausto. Uscito dal palazzo comunale il medico si infila nel primo taxi libero per raggiungere di corsa il luogo del disastro. Passano pochi minuti e il traffico si paralizza. Badiali scende dal taxi e vede con la coda dell'occhio un ragazzo in sella ad una Vespa. Non ci pensa due volte e, come in una scena di un film, lo ferma e monta dietro al conducente. Lo scooter si fa largo tra le macchine imbottigliate in direzione della stazione,che i due raggiungono attorno alle 10:45, appena venti minuti dopo l'esplosione.
Quando l'anestesista bolognese si trova sul piazzale della stazione, sul posto ci sono già alcuni colleghi giunti in un lampo da un piccolo centro traumatologico della Usl 27 che si trovava a breve distanza. I camici bianchi sono inghiottiti dal caos, assieme ai civili che a mani nude sono accorsi a dare una mano in quell'inferno. Badiali ricorda di avere riconosciuto subito l'ambulanza del "suo" ospedale, il Maggiore, giunta poco prima sul posto. Nota e riconosce i colleghi, che trasportano una barella. I soccorritori si avvicinano all'anestesista, che non può fare altro che constatare il decesso dell'uomo, una delle ottantacinque vittime innocenti. Le operazioni di soccorso, considerato il numero di feriti e l'ingombro delle macerie dovuto al crollo di un'intera ala della stazione, si rivelano complicatissime e pericolose. Il dottor Badiali, così come altri colleghi, si trova ad operare a mani nude e con quelle stesse scava furiosamente per cercare di strappare alla morte altre vittime. I feriti sono caricati in fretta anche su auto private e su taxi, oltre che sulle ambulanze ormai giunte in massa anche da località vicine come Imola. L'anestesista bolognese ricorda di avere accompagnato numerosi feriti facendo la spola soprattutto con il Policlinico Sant'Orsola-Malpighi e l'Ospedale Bellaria a bordo dei mezzi di soccorso. Nell'accompagnare le vittime Badiali è testimone del dramma che stanno vivendo i colleghi in servizio al pronto soccorso, che presto si trasforma in una bolgia difficilmente gestibile. A quarant'anni di distanza dai fatti il medico ricorda come in quel drammatico frangente non poté far altro che una scelta obbligata, quella che oggi nella terminologia della medicina d'urgenza viene chiamata "scoop and run" (letteralmente raccatta e corri). In parole semplici in mancanza di attrezzature, farmaci d'urgenza e mezzi adeguati (come le attuali automediche) la priorità andava inevitabilmente al fattore tempo. Si optava per un lavoro individuale caratterizzato dall'ospedalizzazione rapida, che non permetteva quello che oggi si verifica con la stabilizzazione sul posto del paziente (o play and stay). Questo si traduce per il dottor Badiali in una spola continua con gli ospedali bolognesi a bordo delle ambulanze, almeno fino alle 15:30 quando tutti i feriti risultavano ormai ospedalizzati.
Durante i soccorsi il medico bolognese ricorda in particolare un intervento che sarà immortalato dagli obiettivi dei fotografi e rimarrà un'icona di quella tragedia (apertura della fotogallery). Nei locali adibiti ad ufficio del bar-tavola calda della stazione sventrati dall'esplosione una pesante scrivania aveva fatto da scudo ad una giovane impiegata, rimasta gravemente ferita ma viva un ora e mezza dopo la bomba. Liberata dal pesante tavolo circa a mezzogiorno, il dottor Badiali procedeva ad una rapida anamnesi. La giovane vittima aveva subito un'importante compressione addominale e necessitava di un'ospedalizzazione rapida per scongiurare il rischio dovuto ad emorragie interne. Caricata sulla barella la donna con l'equipe di sanitari passava così davanti all'obiettivo dei reporter, che fissarono per sempre la smorfia di dolore della donna mentre veniva accompagnata verso la salvezza dai lettighieri e dal dottor Badiali. Il medico e la vittima si incontreranno ancora parecchi anni più tardi grazie ad un'amicizia comune.
Per Stefano Badiali il lavoro febbrile non si fermerà al pomeriggio del 2 agosto 1980. Nelle ore successive risalirà sulle ambulanze dell'Ospedale Maggiore curando i trasferimenti dei pazienti critici da un ospedale all'altro, permettendo così uno smistamento razionale delle vittime nelle diverse specialità a seconda del trauma riportato. Sarà compito anche del giovane anestesista quello di assistere i parenti dei feriti nella loro richiesta di informazioni nelle ore successive alla strage ma purtroppo anche i congiunti dei deceduti, tra i quali i nonni della più giovane tra le vittime, la piccola Angela Fresu di soli tre anni morta assieme alla mamma Maria appena ventitreenne.
156,050 Mhz: Il successo del CePIS, il ruolo della radio e l'esperienza di Marco Vigna
Il 2 agosto 1980 Marco Vigna è un infermiere professionale del reparto di rianimazione dell'Ospedale Maggiore di Bologna. Come Stefano Badiali ha maturato una lunga esperienza come volontario sulle autoambulanze (allora erano ben pochi gli infermieri che operavano fuori dai reparti ospedalieri) e dal 1976 opera sui mezzi del nosocomio bolognese per il trasferimento di pazienti critici. Vigna è considerato come uno dei fondatori del sistema attuale del soccorso sanitario italiano, avendo contribuito in modo fondamentale alla costruzione di un sistema integrato che all'epoca della strage partiva da condizioni a dir poco caotiche. Fino ad allora infatti in Italia le ambulanze adibite al soccorso mancavano totalmente di qualsivoglia forma di centrale operativa unica a cui fare riferimento. L'unica realtà dal dopoguerra riconosciuta nel ruolo di operatore nel soccorso sanitario sul territorio era la Croce Rossa Italiana, che all'epoca dei fatti lamentava però una grave carenza di personale e mezzi (basi pensare che sulle 15 ambulanze della Cri presenti sul territorio urbano di Bologna soltanto 3 risultavano effettivamente operative). Il resto dei mezzi di soccorso a disposizione della cittadinanza erano quelli delle associazioni volontarie private che si erano moltiplicate negli ultimi due decenni. Queste ultime erano caratterizzate da una irrazionale parcellizzazione e rispondevano alle chiamate ognuna dal proprio centralino, senza che vi fosse un numero unico per lo smistamento delle emergenze, così che spesso capitava che su un servizio si recassero più ambulanze ed in altri casi nessuna. Ad aggravare la situazione contribuivano altri fattori determinanti come la scarsissima preparazione dei soccorritori e la povertà di equipaggiamento dei mezzi in mancanza di una regolamentazione a riguardo. Se molte croci volontarie erano caratterizzate da uno slancio pionieristico e da sincera vocazione, il sistema mutualistico dell'epoca che si basava sui rimborsi dei servizi di emergenza allora a pagamento mise in evidenza in alcuni casi forme di speculazione che portarono a veri e propri scandali che portarono alla chiusura di alcune associazioni. Il sistema dell'emergenza a Bologna era stato messo alla prova per ben due volte prima del 2 agosto 1980: con la strage del treno "Italicus" (4 agosto 1974- 12 morti e 48 feriti) e con l'incidente ferroviario di Murazze di Vado, alle porte della città (15 aprile 1978 - 48 morti e 76 feriti). Benché l'opera del CePIS (il Centro di Pronto Intervento Sanitario del Maggiore) avesse rivelato la propria utilità nella seconda delle due maxi-emergenze era chiaro che i passi da compiere fossero ancora molti. Per Vigna e la direzione sanitaria del Maggiore il percorso era per di più minato da fortissime resistenze di carattere politico, che videro gli enti regionali contestare ed ostacolare il progetto del CePIS nato nel lontano 1967, etichettando l'opera di razionalizzazione dell'emergenza come "localistica" o economicamente irrazionale. Nonostante l'avversione degli enti locali, il CePIS si struttura nel coordinamento del trasporto interospedaliero e all'occasione nel soccorso alla cittadinanza con i mezzi a disposizione, certamente più avanzati di quelli di molte croci private. Il sistema è all'avanguardia per i tempi. La sala operativa del Maggiore dispone infatti di un sistema di comunicazione composto da più linee telefoniche, un impianto radio in collegamento con le ambulanze e di un elaboratore elettronico connesso ai diversi reparti dei nosocomi cittadini con la situazione dei posti letto per le varie specialità. Marco Vigna viene nominato coordinatore del CePIS nel 1979 ed assieme al Dott. Lino Nardozzi della Direzione Sanitaria del Maggiore dà il via ad una rivoluzione culturale nel campo dell'organizzazione del soccorso sanitario, a cominciare dalle convenzioni con le "croci" sul territorio ed all'inizio del loro coordinamento con una centrale operativa.
La mattina del 2 agosto 1980 Marco Vigna si trova anche lui in un'ufficio pubblico, proprio come Badiali. Il motivo della visita all'Assessorato alla Sanità riguardava proprio le problematiche legate alla situazione dell'emergenza sanitaria cittadina all'indomani di un articolo uscito sul Resto del Carlino dove veniva denunciato lo stato caotico dell'organizzazione del soccorso sanitario. Lì Vigna è raggiunto dalla notizia dell'attentato: lascia gli uffici e si reca di corsa sul piazzale della stazione dove si rende conto della gravità della situazione. Poco dopo rientra al CePIS, del quale è coordinatore ed inizia il suo giorno più lungo. Dal centralino del Maggiore il giovane infermiere professionale cerca di razionalizzare e mettere a frutto tutto quello che la propria esperienza gli può suggerire, compreso lo studio approfondito di sistemi integrati di emergenza sanitaria visitati all'estero come il Samu (Service d'AideMédicale Urgent) francese in materia di gestione integrata dell'emergenza. Il responsabile della centrale dell'Ospedale maggiore ricorda oggi come fondamentale risultò un uso razionale e organizzato delle comunicazioni radio. In questo campo, grazie anche alle battaglie dello stesso Vigna e dei colleghi, la regione Emilia-Romagna si trovava fortunatamente all'avanguardia in quanto a standardizzazione delle frequenze. Quella utilizzata per il soccorso stradale (la Protezione Civile sarà istituita successivamente) e per la Forestale era una frequenza Vhf nautica sui 156,050 Mhz fornita in concessione dal Ministero delle Telecomunicazioni in via sperimentale per il soccorso stradale. Di fronte alla tragedia che risultò nella necessità di ospedalizzare duecento feriti quella frequenza si rivelerà fondamentale. Oltre alle ambulanze del CePIS dotate di apparecchio ricetrasmittente, sul luogo della strage viene inviata una vettura con apparato ricetrasmittente a bordo in funzione di ponte radio per lo smistamento di tutti i mezzi di soccorso che si stavano avvicendando nell'evacuazione dei feriti e per il corretto indirizzamento verso gli ospedali per competenza specialistica. Un lavoro immane, poiché la realtà ospedaliera del 1980 era molto diversa da quella odierna, con le diverse specialità distribuite in modo non omogeneo (per fare un esempio concreto il Maggiore era privo della neurochirurgia attiva invece presso il Bellaria, mentre il Sant'Orsola mancava dell'ortopedia, specialità principale del famoso Istituto Rizzoli). Così, incollato ai alla radio ( le linee telefoniche erano saltate quasi subito) Vigna indirizza i mezzi di soccorso (non solo delle "croci" ma anche dei Carabinieri, dell'Esercito e dei Vigili del Fuoco) verso gli ospedali con disponibilità grazie al sistema di elaborazione dati dell'amministrazione. Il coordinatore del CePIS ammette oggi di aver temuto per qualche istante di non farcela, soverchiato dal lavoro immane di quel drammatico giorno. Anche perché ad un certo punto, sovraccaricato dalle trasmissioni di molti mezzi in contemporanea, il sistema radio si blocca. Fortunatamente l'intervento dei tecnici Sip in servizio al maggiore riesce a risolvere il grave inconveniente grazie ad una riparazione tanto improvvisata quanto efficace. Da qui in avanti la giornata di Marco Vigna proseguirà interminabile: oltre una cinquantina di ambulanze da lui indirizzate trasportano i duecento feriti, tra cui ben cinquanta sono i politraumatizzati gravi, per molti dei quali si rivelerà vitale lo smistamento nei nosocomi altamente specializzati. Le operazioni di salvataggio alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 videro la partecipazione di circa duecento soccorritori, oltre a svariate decine di militari e vigili del fuoco. Molti furono anche i civili che prestarono la propria opera in una gara di coraggio e solidarietà che cambiò per sempre la memoria collettiva dei bolognesi in un "prima" e un "dopo" la strage. Il giorno dell'attentato fu in appoggio ai soccorsi anche un autobus della linea 37 dell'azienda municipale dei trasporti (Atc). Al volante del mezzo pubblico c'era l'autista Agide Melloni, che fu tra i primi a caricare feriti verso l'ospedale Maggiore prima che tutte le ambulanze disponibili fossero giunte sul posto. In seguito, al fine di liberare i mezzi di soccorso dal compito di trasportare i cadaveri, l'autobus fu trasformato in carro funebre e fece la spola con gli obitori con i finestrini oscurati da lenzuola bianche. Ancora oggi l'autobus 37, dopo il restauro, viaggia assieme al corteo annuale in memoria delle vittime. Allo stesso modo, per Marco Vigna, Stefano Badiali e tutti i colleghi del CePIS dell'ospedale Maggiore l'attentato rappresentò una cesura e un punto di svolta. Dopo il 2 agosto infatti caddero molti dei precedenti ostacoli e pregiudizi politici e amministrativi riguardo alla razionalizzazione dei servizi di emergenza-urgenza, mentre i quotidiani dei giorni successivi elogiavano ampiamente l'efficienza dei soccorsi. Si era sperimentato il primo "trauma center" d'Italia.
Passano appena pochi mesi e dall'esperienza acquisita nelle maxi emergenze nasce una realtà unica in Italia nell'ambito dell'organizzazione dell'emergenza sanitaria. Nel mese di novembre dello stesso anno della strage alla stazione nasce ufficialmente la centrale operativa "Bologna Soccorso", la cui efficienza sarà messa di nuovo alla prova in occasione di un altro attentato, quello al Rapido 904 nota come la "strage di Natale". L'avanguardia bolognese nell'organizzazione del soccorso sanitario brucerà ancora le tappe nel 1986 con l'istituzione del primo servizio di elisoccorso stabile e nel 1990 con l'attivazione sperimentale (in occasione dei Mondiali di calcio in Italia) del numero unico per l'emergenza sanitaria "118" in contemporanea con l'ospedale di Udine.
Oggi Marco Vigna e Stefano Badiali, allora giovani operatori sanitari e volontari gettati nell'inferno della strage del 2 agosto di quarant'anni fa, sono considerati un punto di riferimento nella gestione e sviluppo del soccorso sanitario e delle maxi-emergenze sul territorio nazionale.
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