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July 23 2015
È nella commozione liberatoria del presidente dei famigliari delle vittime, Manlio Milani, e in quella degli avvocati che per tutti questi anni hanno seguito la terza inchiesta sulla strage di piazza della Loggia a Brescia che si riassume l'esito del dodicesimo processo per l'eccidio che causò otto morti e cento feriti il 28 maggio del '74, durante una manifestazione antifascista.
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Perché i giudici della Seconda Corte d'assise d'appello di Milano hanno messo un punto fermo: quella strage fu di matrice ordinovista e fu ispirata da Carlo Maria Maggi, medico veneziano, allora ispettore di Ordine Nuovo per il Trivenento, condannato oggi all'ergastolo, così come l'ex Fonte Tritone dei servizi segreti, Maurizio Tramonte.
La verità storica e giudiziaria
E la sentenza dei giudici milanesi "apre una profonda riflessione sugli anni dal '69 al '74", per Milani che precisa: "È sempre brutto sentire la parola ergastolo, ma questa decisione tiene aperta la speranza e ora abbiamo anche una verità giudiziaria, oltre che una verità storica". Quella verità giudiziaria che non si è raggiunta per la strage di Piazza Fontana e per quella della Questura di Milano e che invece è ancora a portata di mano per quella di Brescia (i legali di Maggi e Tramonte aspettano le motivazioni per decidere un ricorso in Cassazione). La Suprema Corte, del resto annullando l'assoluzione di Maggi e Tramonte e rinviando il processo a Milano (Brescia non dispone di una seconda corte d'assise d'appello), avevano scritto di un "ipergarantismo distorsivo" da parte dei giudici di secondo grado bresciani nei confronti dei neofascisti che aveva finito per "svilire" i numerosi elementi raccolti contro di loro.
Strategia della tensione
Tramonte, per i giudici di Cassazione, era un soggetto troppo "intraneo" alla destra eversiva per essere un semplice informatore, che peraltro "non raccontava ciò che sapeva o aveva fatto". Maggi fu "propugnatore" della strategia delle tensione e dalla sentenza milanese esce inevitabilmente confermato il racconto di Carlo Digilio, l'armiere di Ordine Nuovo che aveva raccontato i retroscena del periodo stragista. Alla commistione tra galassia neofascista e servizi segreti aveva fermamente creduto l'ex giudice istruttore Guido Salvini che, appreso della sentenza, non risparmia critiche ai pm milanesi per l' inchiesta sulla strage di Piazza Fontana: "L'esito è il premio per un impegno, quello della Procura di Brescia, che non è mai venuto meno in tanti anni. Se la Procura di Milano avesse fatto altrettanto, credo che sarebbe stato possibile andare anche per piazza Fontana al di là di quella responsabilità storica che comunque le sentenze hanno accertato in modo indiscutibile nei confronti delle stesse cellule di Ordine Nuovo al centro del processo per Piazza della Loggia". (ANSA).