Dal Mondo
April 14 2022
«C’è un prima e un dopo 24 febbraio» ha dichiarato la premier della Svezia Magdalena Andersson, guardando negli occhi la sua collega finlandese Sanna Marin. È accaduto a Stoccolma, dove le due leader nordiche hanno tenuto una conferenza stampa congiunta, annunciando la volontà di aderire alla Nato. Entrambe donne molto risolute, agguerrite più che spaventate, oggi rappresentano le voci più interessanti del fronte occidentale, pronte sia a sfidare il machismo di Vladimir Putin sia a considerare la Nato come una casa sicura per i rispettivi popoli.
Anzi, a dire il vero le donne nel mazzo di carte Nato sono già tre: a loro bisogna infatti aggiungere anche la premier estone Kaja Kallas, che ha tuonato contro Mosca sostenendo che «è sbagliato cercare a tutti i costi un cessate il fuoco con Putin, perché potrebbe percepirlo come debolezza e aumentarne la sua aggressività in futuro. Piuttosto servono più armi a Kiev e un disarmo economico del Cremlino». Tutto chiaro?
L’Estonia, che insieme alle altre repubbliche baltiche ha aderito all’Alleanza atlantica già nel 2004 sa di cosa parla: è stato il primo Paese ad aver saggiato la prepotenza militare di Vladimir Putin esattamente tredici anni fa, nell’aprile del 2007, quando un cyber attacco senza precedenti ha letteralmente «spento» il Paese causando il collasso del sistema bancario estone, di numerosi servizi governativi e privati, e persino del sistema mediatico per tre interminabili settimane. Il motivo scatenante? Una ritorsione di Mosca contro l’Estonia, dovuta alla rimozione dalla piazza centrale di Tallin del monumento ai «liberatori» sovietici. In verità, però, si è trattato soprattutto di una scusa per testare la possibile reazione della Nato a una simile provocazione. Che non c’è stata.
Quell’attacco rischiava, infatti, di far scattare l’ormai famoso articolo cinque della Nato, che prevede la risposta militare collettiva in caso uno Stato membro sia aggredito. Non se ne fece di nulla, come noto, e il Cremlino da allora ha ritenuto di poter proseguire con la sua politica prevaricatrice, ritenendo che la debolezza e le divisioni in seno alla Nato fossero una costante immutabile.
Qualcosa invece è cambiato nel tempo. Oggi difatti al gigante russo si oppongono molteplici attori regionali. Ed è una quarta donna nel mazzo atlantico a certificarlo: «Che la Russia minacci non è una novità», ha ricordato la premier lituana Ingrida Simonyte, commentando l’intimidazione dell’ex presidente russo Dmitry Medvedev, il quale in queste ore ha avvertito gli attori europei: «Se Svezia e Finlandia si uniranno alla Nato, la Russia dispiegherà nella regione le sue armi nucleari». Una provocazione forse figlia del fallimento di Mosca nel mancato obiettivo di «riconquista» del territorio ucraino.
Ma proprio qui si aggiunge un importante elemento di riflessione, utile a comprendere la sottile linea rossa su cui si gioca la vera partita geopolitica che oppone (e opporrà a lungo) Mosca all’Alleanza atlantica in Europa: «Kaliningrad è una zona molto militarizzata, lo è da molti anni» ha sottolineato Simonyte, anticipando le intenzioni del Cremlino di usare l’enclave situata tra Polonia e Lituania come testa di ponte per insidiare il blocco Nato: qui la Russia avrebbe schierato da tempo missili balistici nucleari pronti all’uso.
«È proprio lungo quest’asse che si gioca il vero confronto tra le due grandi potenze nucleari americana e russa» avverte l’analista Mirko Mussetti, penna di Limes e autore de La Rosa Geopolitica (Paesi Edizioni, 2021). «Nel quadrante dell’Europa centro-orientale, ovvero in quella vasta fascia di terra compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero, vi sono gli attriti principali, che coinvolgono l’Ucraina non meno che il suo immediato vicinato, Polonia compresa».
La linea rossa invalicabile secondo Putin corrisponde approssimativamente a una retta: «La si può tracciare a partire dal distretto baltico di Kaliningrad per scendere giù lungo una direttrice che porta alla repubblica separatista di Transnistria, oggi parte della Moldavia». Secondo Putin, nessuna potenza occidentale dovrebbe mai osare superare fisicamente – o anche solo minacciare di farlo - questo limite virtuale. Nella dottrina imperialista questo limite insuperabile è chiamato Russkij mir (mondo russo), e Vladimir Putin è determinato a farlo rispettare.
Solo considerando questa sottile linea rossa, dunque, si possono comprendere le ragioni profonde che spingono da una parte l’establishment russo ad aggredire i confini della Nato e, dall’altra, i Paesi dell’est Europa a volersi collocare sotto l’ombrello protettivo della Nato. E questo nonostante l’esempio dell’Ucraina, che per il solo fatto di aver presentato domanda per entrare nel club atlantista, ha patito un’invasione militare in piena regola.
Anzi, è proprio perché consapevoli della determinazione di Putin e della strategia di lungo corso russa, che Stoccolma e Helsinki sembrano aver rotto gli indugi e si apprestano a rivedere la propria politica estera e di difesa in chiave atlantista. In definitiva, quindi, si può dire che le minacce russe sembrano essere cadute nel vuoto e, semmai, si sta verificando per Mosca l’effetto boomerang: voleva allontanare la Nato dai suoi confini e si ritrova un’alleanza ancor più allargata e coesa, con la comagine atlantica che non solo ricompatta i suoi membri e ottiene più fondi per la difesa, ma oggi è più intenzionata che mai a preservare la sua centralità nel sistema internazionale contemporaneo, attirando sempre più adesioni e creando avamposti ancor più stabili e militarizzati di un tempo.
Si vis pacem para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra.