Lifestyle
February 11 2013
"Morire è un'arte, come qualsiasi altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale
io lo faccio che sembra un inferno
io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho vocazione".
Sylvia Plathsi suicidava a Londra l'11 febbraio 1963, a soli 30 anni. Cinquant'anni fa. Nei versi di Lady Lazarus, poesia contenuta nella raccolta postuma Ariel, la poetessa americana sembrava già flirtare con la morte. Nel luglio del 1950, nei Diari, invece così scriveva:
"Forse non sarò mai felice, ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna. Ora capisco come la gente possa vivere senza leggere, senza studiare. Quando uno è così stanco, alla fine della giornata ha bisogno di dormire e il mattino dopo, all'alba, lo aspettano altre fragole da piantare, e così si va avanti a vivere, vicino alla terra. In momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più...".
Cos'è che spinge a far quel passo oltre, oltre il quale non c'è più niente di noto? Oltre il quale quello che è lasciato alle spalle è lasciato. Sylvia, divisa tra le aspirazioni da scrittrice e le mansioni da donna, le pressioni da madre e il disagio coniugale nella fredda Londra. Sylvia con due bambini ancora addormentati nella stanza vicina, e lei con la testa nel forno per raggiungere la sua "vocazione", la morte. E come lei tante scrittrici e poetesse che nella penna hanno trovato la consolazione, lo sfogo, il tormento.
Antonia Pozzi aveva solo 26 anni quando si uccise con dei barbiturici la sera del 3 dicembre del 1938, nel prato di fronte all'abbazia di Chiaravalle di Milano. Di sicuro era oppressa dal chiuso ambiente famigliare, di certo era anima sensibilissima e colpita dai primi effetti delle leggi razziali. La sua voce di poetessa ci giunse solo postuma.
"Triste orto abbandonato l'anima
si cinge di selvagge siepi
di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi".
Così scriveva in Naufraghi nel 1933: a 21 anni una ragazza che ne sa di cosa è la morte? O forse è ancor più vivido, nel pulsare della vita, il suo volto nascosto?
Quando ti sfiora, lei, il desiderio di lei, della morte, non c'è età, non c'è maturità, non c'è spiegazione che a noi, al di qua della linea, possa riempirci. Non c'è vuoto, e non c'è pieno. Virginia Woolf aveva 59 anni. La scrittrice inglese si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, vicino alla sua casa nei pressi di Rodmell il 28 marzo del 1941. Femminista convinta, lottava per la parità dei sessi, ben capendo le fatiche che doveva affrontare all'epoca il cuore di un poeta, "intrappolato in un corpo di una donna". Stava male. Al marito lasciò un biglietto di addio commovente:
"Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so".
Anne Sexton aveva 45 anni quando, il 4 ottobre 1974, si intossicò con il monossido di carbonio nel suo garage a Boston. Soffriva di disturbo bipolare e proprio dopo un esaurimento venne incoraggiata da un dottore a scrivere poesie.
"Dove vai quando una vita finisce,
la vita
per cui hai dato tanto?".
Se lo chiedeva la poetessa americana in Uccidendo l'amore, nella raccolta postuma 45 Mercy Street.
"Sulla morbida sabbia
lambita dal mare
la sua piccola impronta
non si voltò indietro
un sentiero solo
di pena e silenzio seguì
sino all’acqua profonda
un sentiero solo
di pene mutate arrivò
sino alla schiuma".
Così la splendida Mercedes Sosa cantava in Alfonsina y el mar, toccante canzone scritta da Ariel Ramírez e Félix Luna per la poetessa argentina suicida Alfonsina Storni. Esponente del postmodernismo, femminista e ragazza-madre, il 25 ottobre 1938 si suicidò in mare davanti alla spiaggia "La Perla", a Mar del Plata. Aveva 46 anni e la minaccia di un tumore.
In questi giorni sul Guardian scrittrici e poetesse, donne, riflettono sul suicidio di Sylvia Plath. La sceneggiatrice e regista Lena Dunham si chiede se Sylvia si sarebbe salvata se fosse nata in un'epoca diversa, in un momento come quello attuale in cui gli psico-farmaci non sono più visti come un'onta. Chi può dirlo.
Penso però alla britannica Sarah Kane, ribelle voce teatrale, che cedette alla depressione a soli 28 anni, anche lei a Londra: si impiccò con i lacci delle scarpe nella sua camera d’ospedale. Era il 20 febbraio 1999: tempi recenti.
Amelia Rosselli, apolide della poesia dal verso ruvido ed energico, si tolse la vita buttandosi dalla finestra della sua casa di Roma. Era il 1996, l'11 febbraio, lo stesso giorno della morte di Sylvia Plath, autrice che aveva tradotto e tanto amato.
Il "mal di vivere", il desiderio della morte, oscilla e si muove, come in un intreccio.