Musica
December 29 2021
Da alcuni anni, in ambito hip hop, i produttori italiani stanno ottenendo riconoscimenti sempre maggiori, anche al di fuori dei confini nazionali. Dua Lipa e Gary Clark Jr, due nomi che non hanno certo bisogno di presentazioni, si sono affidati recentemente alle sapienti mani del duo multiplatino Federico Vaccari and Pietro Miano, in arte 2nd Roof, che, dopo aver lavorato con i più importanti rapper italiani, hanno pubblicato il primo album a loro nome, Roof Top Mixtape vol.1, pubblicato da Epic/Sony Music Italy.
Il mixtape si compone di 19 tracce ed è impreziosito da ben 25 featuring, sia italiani che internazionali: Gué Pequeno, Jake La Furia, Emis Killa, J-Ax, Gemitaiz, Nitro, Speranza, Pyrex, Dani Faiv, Ketama126, Beri, Kilimoney, Toni Effe, Neves17, Philip, Nicola Siciliano, Wayne Santana, Boro Boro, Vettosi, J Lord, Nashley, Nastasia, Arlissa, Kelvyn Colt e Salva. L'album è una sorta di viaggio musicale che porta alla scoperta di sound, artisti e groove estremamente variegati, in grado di enfatizzare la ricchezza che il genere a cui i producer sono da sempre legati possiede.
L'album, anzi, il mixtape ha un sound molto vario ed eterogeneo. Quali sono i generi musicali, al di fuori del rap, che lo hanno influenzato?
«In Roof Top Mixtape vol.1 ci sono varie sonorità che fanno ormai parte del nostro DNA musicale. Noi ascoltiamo il rap da sempre, però ci è sempre piaciuta la musica in generale, dalla nazionalpopolare italiana a quella tradizionale greca. Nell'album c'è musica diversa per diversi stati d'animo e alterniamo episodi da club a brani più riflessivi, come quello conclusivo di Nashley»
I featuring album vengono spesso accusati di avere un sound poco omogeneo e di essere quasi esclusivamente uno sfoggio di nomi altisonanti. Per voi è un più rischio o un'opportunità avere così tante voci nel vostro disco?
«Secondo noi è un'opportunità, che ci dà la possibilità di spaziare attraverso i nostri diversi gusti musicali. Magari lavorando per altri artisti dobbiamo calibrare le nostre produzioni sul sound del momento, mentre qui, nel nostro album, abbiamo la libertà di fare il pezzo con la cassa dritta, se ci va. Ci piace piantare un seme che magari può far nascere qualcosa in futuro, non c'è un vero e proprio filo conduttore, se non l'eterogeneità dei nostri gusti e delle nostre influenze musicali: per questo lo abbiamo chiamato mixtape»
L'album esce il 17 dicembre: non è un rischio pubblicare un mixtape rap mentre la gente ascolta le canzoni natalizie di Michael Bublé e Mariah Carey?
«Sì, forse è un rischio, ma bisogna rischiare nella vita: noi ci tenevamo a far uscire adesso l'album. Magari il singolo Berlusconi, sulla scia del suo famoso discorso di Natale degli anni Novanta con il golfino rosso, potrebbe diventare la nuova canzone delle feste!»
A proposito di Berlusconi, che vanta i featuring di Jake La Furia, Nitro e Speranza: perché lo avete scelto come secondo singolo e come mai lo avete intitolato così?
«In realtà il nome lo abbiamo dato alla fine, Speranza fa una rima su Berlusconi e ci sembrava molto dark-ironico come titolo. Il primo singolo è stato il brano con Gué Pequeno, che è la persona che ha creduto più in noi agli inizi e che ci ha aiutato a metterci in luce nella scena rap, di conseguenza abbiamo pensato come secondo singolo a Jake, un omaggio ai Club Dogo»
Gli album di Marracash e Gué da poco pubblicati, Noi, Loro, Gli Altri e Gvesvs, sono considerati tra i migliori album italiani del 2021. Siete d'accordo?
«Assolutamente sì, sono le due pietre miliari dell'anno in ambito hip hop, forse anche del 2022, due dischi che sono destinati a rimanere nel tempo. Sarà difficile, per noi, confrontarci con quei due album. In quello di Gué abbiamo lavorato anche noi, mentre con Marra abbiamo fatto tante cose in passato. Sono contento che oggi tutti e due abbiano finalmente i riconoscimenti che meritano, anche al di fuori dell'ambiente rap»
Voi lavorate tra Milano e Los Angeles. Quali sono le maggiori differenze che notate a livello di produzioni?
«In Usa c'è maggiore spontaneità e creatività nelle produzioni, mentre qui si guarda molto a che cosa sta andando in quel momento, c'è più strategia, un po' come nel basket: in quello Nba c'è più spettacolo, si va a canestro e si schiaccia, mentre qui c'è più strategia e si fanno più passaggi. In Usa, dove c'è un mercato molto più ampio, rischiano in tanti e ce la fanno in pochi. Qui, essendo in pochi nella scena rap, cerchiamo di rischiare meno e di andare a colpo sicuro»
Alcuni sostengono che la trap abbia i giorni contati, altri che la trap è ormai è un genere a sé stante rispetto al rap, e che, per questo, continuerà ad andare avanti. Voi che ne pensate?
«Ho sempre trovato molto strana questa differenza tra trap e rap. Noi abbiamo iniziato a fare brani trap oltre 10 anni fa, è un rap più tamarro e aggressivo, ma fa pur sempre parte della cultura hip hop. Oggi si tende molto a dare i nomi ai sottogeneri, ma trap continuerà a esistere perché certe sonorità ormai fanno parte del rap mainstream»
Avete lavorato recentemente con Dua Lipa e Gary Clark Jr. per la colonna sonora del film Gully. Com'è stato produrre i brani Can’t they hear us e We Stat Up di due numeri uno nel loro rispettivo genere?
«Non ce lo aspettavamo, è stato un davvero bel viaggio lavorare con due professionisti del genere. Fino all'uscita del disco facevo fatica a crederci, avevo paura che fossero allucinazioni e che non fosse Dua Lipa a cantare in Can’t they hear us: è stata la soddisfazione più grande della nostra carriera. Sia Dua che Gary Clark Jr. hanno dato molto spazio alle nostre idee, valorizzando al massimo il nostro lavoro. Paradossalmente, è più semplice lavorare con gli artisti più grandi, che si fidano maggiormente dei produttori, mentre il giovane emergente, di solito, è più titubante a uscire dalla sua zona di comfort»