Economia
November 15 2017
Non si placano le polemiche scoppiate in questi giorni intorno al metodo di calcolo della Tari, la tassa sulla spazzatua. Dopo le accuse rivolte ai Comuni da numerosi associazioni di consumatori per i danni che avrebbero subito tanti privati cittadini, ora infatti il fronte delle proteste si allarga anche alle imprese.
A denunciare gli errati conteggi questa volta è la Confcommercio, secondo la quale, numeri alla mano, per le aziende le tasse sui rifiuti sarebbero aumentate in 6 anni ben del 68%, ovvero un esborso aggiuntivo pari circa a 3,7 miliardi di euro. Ma cerchiamo di capire meglio come si sarebbero concretizzati, nel caso delle imprese, gli errori di calcolo della Tari, anche attraverso qualche esempio pratico.
Secondo la Confcommercio i Comuni avrebbero fatto pagare la Tari anche su quelle aree dove sono le imprese stesse a dover provvedere autonomamente allo smaltimento dei rifiuti prodotti, facendosi carico dei relativi costi.
Il risultato è che le aziende avrebbero pagato alle amministrazioni comunali il costo di un servizio che in pratica non sarebbe stato neanche erogato. Da qui il conseguente incremento costante degli esborsi legati alla Tari da parte delle imprese, che in questi anni avrebbero visto schizzare alle stelle la propria quota di competenza.
Per dare forza e autorevolezza alla propria denuncia, la Confcommercio ha presentato una serie di esempi pratici che fanno capire in modo molto chiaro dove stia l’insensatezza del calcolo della Tari adottato per tante imprese.
Ad esempio, è stato citato il caso di Milano, dove un magazzino all'ingrosso di ferramenta con una superficie complessiva di 200 metri quadri di cui 80 destinati ad area produttiva (aree dove si effettuano lavorazioni o stoccaggio di prodotti finiti o semilavorati), paga oggi una Tari di 1.032,40 euro.
In realtà, tenendo conto delle superfici che realmente dovrebbero sottostare al regime della tassa sulla spazzatura, l'importo corretto dovrebbe essere di 619,44, con un aggravio quindi per l'impresa pari a 412,96 euro.
Molto significativo, sempre secondo la Confcommercio, è poi il caso delle aree espositive, tipicamente di grandi dimensioni ma con una ridottissima produzione di immondizia: basti pensare ad esempio ai mobilifici o agli spazi espositivi dei concessionari di automobili, dove la reale area in cui si producono rifiuti rappresenta mediamente solo il 15% della superficie totale.
Non meno emblematico è poi il caso degli alberghi, generalmente soggetti a coefficienti fortemente squilibrati rispetto al potenziale produttivo di rifiuti.
A rilevarlo anche una sentenza del Tar della Puglia che ha affermato ad esempio la sproporzione tra la tariffa stabilita dal Comune di Brindisi per gli esercizi alberghieri con ristorazione (11,13 a mq) o senza ristorazione (8,90 a mq) e la tariffa stabilita per le abitazioni (2,43 a mq), in violazione del principio europeo secondo cui “chi inquina paga”.
Nel caso di specie l'albergo, con una superficie di circa 1.000 mq, pagava una tassa di 8.941 euro quando, in applicazione della sentenza, avrebbe dovuto pagare solo 4.492 euro.