Economia
October 31 2014
In gergo tecnico si chiama clausola di salvaguardia, ma per molti commercianti e consumatori è solo un incubo.
Già, perché la misura introdotta dal governo nella legge Stabilità ha i suoi pro e contro: da una parte serve al governo a trovare nuove risorse senza ricorrere a una nuova spending review, nel caso non si riuscisse a raggiungere gli obiettivi di risparmio e a fornire una copertura a voci di entrata non certe (come quelle, ad esempio, sulla lotta all’evasione); dall’altra contribuisce a incrementare la pressione fiscale, perché è a tutti gli effetti una tassa nascosta, per quanto ipotetica.
Il meccanismo, pronto ascattare dal 2016, è contenuto nell’articolo 45 della legge, che elenca ulteriori misure di copertura chieste come garanzia da Bruxelles.
Prevede l’aumento di due punti sia dell’aliquota Iva agevolata del 10% nel 2016, e poi di un altro punto (13%) nel 2017, sia dell’attuale aliquota ordinaria, che passerebbe dal 22 al 24% nel 2016, per poi salire ancora al 25% l’anno successivo e addirittura al 25,5% nel 2018.
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La clausola, insomma, serve a dimostrare all'Europa che, in un modo o nell'altro, l'Italia è in grado di reperire le risorse per portare avanti la propria politica economica: ma è un bene o un male per i cittadini? Dipende da come la si guarda.
Dal punto di vista del governo, è un jolly da ben 53 miliardi di euro distribuiti tra il 2016 e 2018. Giocandolo, il premier Renzi eviterebbe di effettuare ulteriori tagli alla spesa pubblica, che mettono in difficoltà gli enti locali (leggi aumento della tassazione regionale e comunale) e sono sempre mal visti da chi lavora nella Pubblica amministrazione e dai sindacati.
Diverso il discorso per gli operatori economici: ai loro occhi, così facendo si rischia di mandare a ramengo l'economia, perché il maxi aumento dell'Iva frenerebbe ulteriormente i consumi, andando a vanificare (tra l'altro) l'effetto degli 80 euro - ancora inefficace: le vendite da inizio anno sono calate dell’1,3% rispetto a un anno fa - voluti con insistenza da Renzi proprio per rilanciarli.
Qualche esempio? Con un aumento di due punti percentuali alle aliquote, la Confesercenti ha stimato un calo dei consumi per altri 3 miliardi di euro nel 2016, ossia 100 euro in meno a famiglia. Ecco perché forse, non a torto, i commercianti parlano di "uno scenario devastante" che "inevitabilmente porterebbe alla chiusura di altre migliaia di imprese, con pesanti conseguenze sul piano occupazionale e sociale".
Secondo le stime del Def, del resto, comporterebbe alla fine del periodo una perdita di Pil di 0,7 punti percentuali e una caduta dei consumi di 1,3 punti.